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Pistoletto: «Nei miei stracci alberga anche la parte negletta della società»

Pistoletto: «Nei miei stracci alberga anche la parte negletta della società»Michelangelo Pistoletto davanti la sua «Venere degli stracci» – Foto Ansa

Intervista Parla l'artista che ha visto andare a fuoco la sua «Venere», un'opera iconica che vide la luce per la prima volta nel 1967. «Il mio è un lavoro che si espone, come si espone un essere umano, è un’installazione composta da elementi dinamici. Dentro quei cenci sono passate le persone, c’è la vita vera»

Pubblicato circa un anno faEdizione del 13 luglio 2023

Michelangelo Pistoletto afferma di «non sentirsi offeso» dal gesto di chi ha appiccato il fuoco alla sua Venere degli stracci. «Da sempre, io lavoro con lo specchio e questa è esattamente una situazione che ’rispecchia’ il mondo così com’è. La mia Venere è una proposta di rigenerazione».
D’altronde, l’artista è entrato nel suo novantesimo anno con un vivace sguardo aperto sul futuro, mai affetto da pessimismo, convinto che «se esistono le guerre preventive, si può immaginare anche una pace preventiva e non consolatoria, che arriva solo dopo i conflitti».


La sua Venere – il cui atto di nascita segna 1967 – è un’opera iconica del Novecento, realizzata con una copia (comprata da un rivenditore di statue per giardini) della Venere con pomo dello scultore neoclassico Bertel Thorvaldsen il quale, a sua volta, si ispirava all’Afrodite cnidia di Prassitele. L’artista contemporaneo, però, la costringe a «reggere» una montagna di panni usati e aggrovigliati (con cui usava pulire i suoi Quadri specchianti), in un cortocircuito di senso che subito introduce l’osservatore di fronte alla realtà cruda e dura dell’esistenza. Anche Paolo Naldini, direttore della Cittadellarte, l’attivissima fondazione di Pistoletto con sede a Biella, rovescia la distruzione in una rinascita positiva. «Adesso sarebbe bello e importante che i napoletani portassero ognuno uno straccio e ricomponessimo insieme una nuova opera pubblica, frutto della cura di tutti per il nostro pianeta».

La «Venere» bruciata potrebbe cambiare il suo antico rapporto con Napoli?
No, no, per me resta sempre una città meravigliosa e il mio rapporto naturalmente continuerà. Credo che quel che è accaduto sia un’occasione per proseguire, parlando con il mondo proprio attraverso Napoli. Non ci sono solo le buone notizie, ogni giorno anzi siamo mitragliati da quelle cattive e, a un certo momento, toccano pure a noi. La Venere raffigura la città, la sua bellezza, le sue tradizioni. Napoli è sempre stato un luogo che ha supportato l’arte, ma sappiamo che al suo interno si sviluppano tensioni, che possono essere simbolizzate anche da questi stracci: vanno considerati un po’ la parte negletta della società. Il contrasto fra la statua e quei cenci esprime una situazione che si estende in tutto il mondo, oltre che localmente.

Lei pensa che quel gesto che l’ha voluta incenerire sia «vivificante»?
La Venere non nasce per caso, come fosse una difesa a oltranza. È un lavoro che si espone, come si espone un essere umano, è un’installazione composta da elementi dinamici. Dentro quegli stracci, sono passate le persone, c’è la vita. In qualche maniera, la gente riconosce anche la possibilità di farsi avanti aggressivamente, invece che con azioni di creazione, scaricando qualcosa che preme dentro, che non si sa come far funzionare. È una revanche, forse. Se si dà fuoco alla Venere siamo ancora nel limite del «possibile». Solo che purtroppo, in questo caso, l’opera finisce per raccontare il mondo dove si stanno bruciando vite umane, dove si stanno conducendo guerre e, quindi, questo alto degrado della società viene all’evidenza e si manifesta. È come se dagli stracci uscissero queste persone così disgregate che quasi si vogliono autodistruggere pur di far affiorare la propria esistenza.

Cosa avverrà adesso?
Non so bene cosa succederà ora. Ho sentito il sindaco, ci sono varie mobilitazioni. Vediamo se verrà ricostruita. La Venere potrebbe trasformarsi in un’opera partecipata.

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