All’inizio dell’offensiva contro Gaza, l’artiglieria israeliana ha sparato così tanti proiettili verso il territorio palestinese che si è vista «costretta» a far uso anche di munizioni vecchie di decine di anni. «La carenza portò addirittura all’impiego di munizioni risalenti agli anni ’50, che erano in cattive condizioni, producevano quantità insolitamente elevate di fumo che rendevano difficile agli equipaggi sparare per periodi di tempo prolungati e lasciavano sporche le canne dei cannoni», scrive il giornale Haaretz. Di sicuro è andata molto peggio ai civili palestinesi rimasti sotto le macerie delle loro case centrate dai vecchi proiettili. In ogni caso l’alleato Joe Biden in poco tempo ha messo a posto le cose inviando, come fa ancora oggi, le munizioni, le bombe, i missili di cui le forze armate israeliane hanno bisogno per continuare, senza sosta, a martellare Gaza. «Siamo finiti in una guerra improvvisa nella quale abbiamo sparato più che in tutte le altre guerre messe insieme», ha commentato un riservista intervistato da Haaretz.

Gli effetti di questa pioggia di fuoco si vedono bene nelle strade di Gaza colme di macerie e in cui girano esseri umani come fantasmi. Un video girato ieri alle prime luci del giorno mostrava l’area, irriconoscibile, dell’ospedale Shifa. Quella che fino al 6 ottobre era uno dei quartieri più frequentati e ben tenuti di Gaza city, con il centro culturale Shawwa, a poche centinaia di metri dal lungomare, ora è solo una lunga distesa di pietre, detriti e polvere, carcasse di automezzi, pilastri e metalli contorti. Dallo Shifa fino a Shate, il camnpo profughi considerato da Israele una roccaforte di Hamas, e distrutto in gran parte lo scorso novembre.

Come una roccaforte di Hamas e non come l’ospedale più importante di Gaza viene trattato lo Shifa giunto ieri al quarto giorno di assedio. Centinaia di famiglie sono intrappolate al suo interno, assieme a pazienti e personale medico. Chi esce rischia di essere ucciso. In un video diffuso dalla tv Al Jazeera, un militare israeliano con un megafono ordina ai civili nell’ospedale di non provare ad uscire, altrimenti saranno colpiti. Chi ha trovato il coraggio e ha avuto la fortuna di allontanarsi è fuggito in direzione di Tuffah, Zaytoun, Shujaiya e Sabra, a est di Gaza city. Altri si sono diretti verso Deir Al Balah. Wadie Abu Alsaud, uno degli sfollati nello Shifa, ha raccontato che i civili «sono sulle scale, nelle sale agibili, ovunque. Sentiamo spari ed esplosioni, le condizioni sono terribili». Testimoni riferivano ieri di incendi all’interno del complesso ospedaliero e di case distrutte con esplosivi dall’esercito israeliano. Proseguivano ieri, sporadicamente, anche scontri a fuoco tra militari israeliani e combattenti di Hamas. «Israele ha mandato i carri armati nel cuore della città di Gaza per distruggere ciò che resta delle sue case e delle sue strade», ha detto disperato un abitante in fuga a un giornalista della Reuters. Il rischio che lo Shifa esca in gran parte distrutto dall’assedio è reale.

Per i media israeliani, l’esercito sta combattendo una battaglia epica «contro i terroristi» dentro e fuori l’ospedale. La versione  ufficiale è quella di un’operazione militare che ha colto di sorpresa Hamas e il Jihad islami. Secondo la Nbcnews, Israele avrebbe ottenuto dagli Usa l’informazione sulla presenza nello Shifa dell’alto funzionario di Hamas, Faik Mabhouh, ucciso lunedì. Il portavoce militare parlava ieri di «50 uomini armati» uccisi nelle ultime ore per un totale di 140 da lunedì e di oltre 600 sospetti «terroristi» arrestati. Ha quindi descritto lo Shifa come «un quartier generale» di Hamas e Jihad islami. Nelle 24 ore tra mercoledì e ieri, secondo i dati del ministero della sanità a Gaza, gli attacchi israeliani hanno provocato la morte di almeno 65 persone e ferito altre 92, molte delle quali nello Shifa e nell’area circostante. Il numero totale dei palestinesi uccisi dal 7 ottobre è salito a 31.988.

I comandi israeliani sono anche impegnati a costruire le basi di una amministrazione futura di Gaza che dovrà essere alleata dello Stato ebraico e non legata ad Hamas e altre organizzazioni palestinesi. Il Wall Street Journal, sempre ben informato su mosse e decisioni ai vertici di Israele, scriveva ieri che funzionari della sicurezza starebbero sviluppando un piano di distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza che dovrà portare alla creazione di un’autorità governativa composta da palestinesi «indipendenti». Secondo il progetto, non meglio precisati leader palestinesi e uomini d’affari non affiliati ad Hamas distribuirebbero aiuti e, una volta finita la guerra, otterrebbero il potere con il sostegno dei paesi arabi ricchi. Certo non quello di Hamas e delle altre formazioni palestinesi che hanno già minacciato gravi conseguenze per i gli eventuali traditori.

Alla luce di questo quadro, in cui il gabinetto di guerra israeliano guidato da Benyamin Netanyahu appare convinto della «vittoria» militare e lavora per ottenere la benedizione di Biden all’attacco anche su Rafah, è arduo credere che sia siano fatti passi in avanti verso la tregua, come afferma il segretario di Stato Usa Blinken – ieri al Cairo e oggi a Tel Aviv. Le parti riunite in Qatar stanno discutendo un cessate il fuoco di circa sei settimane che consentirebbe il rilascio di 40 ostaggi in cambio di centinaia di prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane. Hamas afferma che rilascerà gli ostaggi israeliani solo come parte di un accordo volto a porre fine alla guerra. Israele ripete che prenderà in considerazione solo di una pausa temporanea.