È cominciato ieri il percorso tecnico-scientifico che potrebbe portare nel prossimo futuro alla gratuità della pillola contraccettiva, in particolare per le under 25. Nel pomeriggio c’è stata una prima riunione all’Aifa della Commissione tecnico scientifica e del Comitato prezzi e rimborsi per decidere il percorso che dovrebbe portare alla rimborsabilità dei contraccettivi orali. Un’accelerazione, dopo l’inerzia, proprio alla vigilia del cambio di governo.

LA GINECOLOGA ROSA PAPA è stata responsabile dell’Unità operativa Salute donna dell’Asl Napoli 1, per 40 anni ha lavorato nel consultorio del distretto a forte esclusione sociale di Miano, Secondigliano, San Pietro a Patierno: «In Italia una gravidanza su quattro è imprevista, il 50% delle impreviste porta a una interruzione volontaria di gravidanza. Per quanto riguarda l’offerta dei contraccettivi, attualmente tutti quelli ormonali sono farmaci di fascia C, cioè non rimborsati dal Servizio sanitario nazionale. Il loro costo è interamente a carico del cittadino, troppo oneroso per tante donne, coppie, famiglie in difficoltà economica. Ricordiamo che ci sono fasce di popolazione per cui anche gli assorbenti sono un costo difficile da sostenere».

I CONTRACCETTIVI di questo tipo sono in vendita a un prezzo che oscilla tra i 10 e i 20 euro al mese: «Questo – prosegue Papa – nonostante il dpcm del 12 gennaio 2017 indicava tutt’altro: nel definire e aggiornare i livelli essenziali di assistenza previsti dal decreto legislativo 502 del 1992, confermava che “il Ssn garantisce alle donne, ai minori, alle coppie e alle famiglie la somministrazione dei mezzi necessari per la procreazione responsabile”». Il punto è stato oggetto dello scontro tra le ragazze di Non una di meno e la parlamentare dem Laura Boldrini, a cui è stata contestata l’inerzia del centrosinistra sul tema: «C’è un’assoluta distanza della politica praticata dal problema dei diritti riproduttivi – il commento di Papa -. Il rapporto Atlas mostra che in Italia non solo i contraccettivi non vengono offerti ma non si danno neppure informazioni. Sul piano nazionale, i dati Aidos indicano che è il Meridione a essere maglia nera. La fascia fino a 21 anni, in particolare, è stata completamente abbandonata».

NON DOVEVA ESSERE COSÌ: «La legge prevede il cosiddetto spazio adolescenti nei consultori con una programmazione per i giovani a partire dall’informazione sia per le malattie a trasmissione sessuale che per la contraccezione. Invece tutti gli studi dimostrano che non sanno quasi nulla della contraccezione ormonale ma vorrebbe avere informazioni. Il bisogno è ovviamente molto più marcato nei quartieri popolari, dove prima i presidi territoriali erano fortemente radicati, indispensabili soprattutto quando la forbice sociale si divarica». Se lo Stato si muove in ritardo ci sono alcune regioni che già distribuiscono la pillola contraccettiva gratuita: «La Puglia è stata la prima in Italia, una regione del Sud, dal 2008». Poi Emilia Romagna, Lombardia e Toscana. Il Piemonte, invece, ha preso un’altra strada: una recente delibera prevede un fondo ’pro vita’ da 400 mila euro a disposizione delle donne in difficoltà economica. «Spero che l’accesso alla pillola avvenga attraverso i consultori – sottolinea Papa -. Le persone vanno formate, rese competenti rispetto alle scelte che fanno. Basta fare una buona anamnesi, come l’Oms insegna, per prescrivere il contraccettivo giusto anche rispetto alle necessità».

IL CONSULTORIO è uno strumento importante, soprattutto dei contesti sociali difficili. Lo Stato li sostiene? «La legge 34 prevedeva un consultorio ogni 20mila abitanti e anche l’accordo Stato – Regioni del 2017 ha confermato il rapporto. La realtà è differente. A Napoli, ad esempio, ne sono previsti 42 ma solo 18 sono attivi – conclude Papa -. C’è stato il progressivo depauperamento di figure professionali preziose per il lavoro in equipe e per l’accoglienza del bisogno di salute, il personale ancora in servizio ha un’età media elevata o è prossimo al pensionamento. Il consultorio è una struttura poco decodificata o, forse, troppo. La relazione con le donne della comunità di riferimento le rende consapevoli dei diritti di salute e quindi trasforma una comunità in una comunità critica. Forse per questo si cerca di depotenziarli».