Visioni

Pier Paolo Pasolini nel cuore di Hollywood

Pier Paolo Pasolini nel cuore di HollywoodPier Paolo Pasolini sul set di «Accattone»

In mostra Al Museo del cinema dell’Academy di Los Angeles la retrospettiva per i cent’anni dalla nascita del regista e poeta

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 20 febbraio 2022
Luca CeladaLOS ANGELES

Si è aperta con la proiezione di Accattone la rassegna che l’Academy Museum of motion pictures dedica a Pier Paolo Pasolini nel suo centenario. Una retrospettiva integrale che presenterà ogni lungometraggio del regista e la quasi totalità dei suoi corti e documentari, esclusivamente da copie 35 mm restaurate dai laboratori del Cinema Ritrovato della Cineteca di Bologna (unica eccezione il film di apertura, restaurato in digitale 4K). Un omaggio di grande peso e la prima importante monografia programmata dal Museo del cinema, aperto da pochi mesi nell’edificio progettato da Renzo Piano all’angolo di Wilshire boulevard e Fairfax avenue.

La proiezione del primo film di Pasolini nella fiammante nuova sala Geffen da mille posti all’interno della grande sfera di Piano ha segnato l’inizio della partnership siglata dall’Academy Museum con Cinecittà e che prevede l’organizzazione congiunta di mostre dedicate al cinema italiano nei prossimi cinque anni (la prima, poi slittata per via della pandemia e dell’apertura rimandata del museo, avrebbe dovuto essere la retrospettiva dedicata a Fellini).

Intitolata Conoscenza carnale: I film di Pier Paolo Pasolini la rassegna aperta giovedì si svolgerà fino al 12 marzo, per ricordare, a cento anni dalla nascita, quello che Silvia Chiave, console italiana a Los Angeles intervenuta alla proiezione inaugurale, ha definito «l’intellettuale pubblico più preminente del secolo scorso in Italia. Un figura scomoda per le proprie contraddizioni e per l’inflessibile ricerca di verità, capace di aprire dibattiti su democrazia, valori, sesso e libertà che rimangono tuttora di piena attualità».

TEMI ben contenuti anche da Accattone, pprimo film e parte del primo periodo del regista, la sua reinvenzione del neorealismo italiano come veicolo potentemente lirico e politico. Girato nel 1961 nelle periferie romane con un cast di non professionisti (oltre al protagonista Franco Citti, fratello del co-sceneggiatore Sergio Citti) l’esordio di Pasolini da regista diventa subito oggetto di contestazione e di indignazione per la censura che perseguitò la sua opera. La rassegna dell’Academy in un

Bernardo Rondeau e Dante Ferretti

momento di regressione che vede moltiplicarsi gli attacchi censorii negli Stati uniti è un segnale importante che dimostra una volontà del Museo di affermarsi come istituzione culturalmente rilevante nella capitale del cinema.

Oltre alla rivisitazione dell’idioma neorelista (Accattone, Mamma Roma) la rassegna comprenderà quelle dei miti classici (Il vangelo secondo Matteo, Edipo Re, Medea) i ritratti «scabrosi» della depravazione della società europea (Teorema, Porcile); la Trilogia della vita (Il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una Notte) sui piaceri primari del sesso, e la sua antitesi, il devastante e tetro spettacolo horror della Seconda Guerra Mondiale, Salò.

IL TITOLO della rassegna, spiega il curatore Bernando Rondeau, «si rifà all’omonimo film di Mike Nichols ma è soprattutto un riferimento ai due registri che sembrano riproporsi nei film di Pasolini: l’erotico e il filosofico, lo spirituale e il corporeo – la ricerca di verità che nei suoi film spesso passa dalla sensualità».

L’umanità e la sacralità, la militanza anticapitalista, la cultura classica sembrerebbero antitetici a molti valori espressi da Hollywood, eppure afferma Rondeau vi sono legami profondi fra l’opera di Pasolini e gli Stati uniti dove i suoi film di rimangono «parte della conversazione» e della programmazione in rassegne e cinema d’essai.

«DA UN LATO è impossibile sottovalutare la permanenza nell’immaginazione filmica di un film come Salò o le 120 giornate di Sodoma, paradigma di buco nero dell’anima. Poi c’è la critica anticapitalista e gramsciana che esprimono i suoi film, tuttora oggetto di studio in scuole di cinema e di critica culturale. E credo infine che vi sia tuttora una chiara connessione stilistica fra il suo lavoro e molto cinema Lgbtq. Sopra a tutto credo che rimanga un esempio di cinema imperterrito, di libertà creativa e di visione artistica».

È parso confermarlo il pubblico numeroso e attento accorso al Museo e che prima della proiezione ha ascoltato il racconto di Dante Ferretti, lo scenografo premio Oscar che con Pasolini ha cominciato la carriera (Medea) lavorando su quattro dei suoi set, compreso l’ultimo, Salò.

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