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Piazza della Loggia 50 anni dopo. Mattarella: «Depistaggi gravi»

Il ricordo dei 50 anni dalla strage di Brescia foto di Andrea Sabbadini Sotto, Sergio Mattarella foto AnsaLa manifestazione in piazza della Loggia – Andrea Sabbadini

Memoria A Brescia il presidente della Repubblica ricorda la strage neofascista. Ma Giorgia Meloni tace. E il governo diserta la celebrazione alla Camera

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 29 maggio 2024

C’è il sole a Brescia, a differenza di quel 28 maggio del 1974, cinquant’anni fa, quando sotto una pioggia battente una bomba neofascista esplose nella piazza gremita, compiendo una delle più efferate stragi della storia dell’Italia repubblicana. Otto i morti, oltre cento i feriti. Alle otto del mattino, a più di un’ora e mezza dall’inizio delle commemorazioni ufficiali, ci sono già almeno un centinaio di persone in piazza. Sopra la stele che ricorda le otto vittime, uno striscione recita così: «28 maggio 1974-28 maggio 2024. Noi non dimentichiamo». È firmato dai pensionati di Cgil, Cisl e Uil. Accanto, la riproduzione del manifesto di convocazione della manifestazione del 1974.

UN’ORA DOPO si farà fatica a muoversi, tanta è la gente accorsa in piazza. Brescia c’è, Brescia c’è sempre stata, da quel terribile giorno in cui fu colpita al cuore. Un lavoro di conservazione della memoria e di ricerca incessante di verità e giustizia, portato avanti dai famigliari delle vittime, ha creato una sorta di coscienza collettiva che lega le generazioni più vecchie a quelle nuove. «Oggi l’Italia repubblicana è a Brescia, è in piazza della Loggia», dirà più tardi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

ALLE 10.12 gli otto rintocchi dell’orologio di piazza della Loggia, in ricordo dei morti, risuonano in una piazza piena e silenziosa. Poco prima, dal palco, sono stati scanditi i nomi delle vittime: Giulietta, Livia, Alberto, Clementina, Euplo, Luigi, Bartolomeo, Vittorio. Erano donne e uomini, giovani e anziani, operai e insegnanti. Erano in piazza per contrastare il disegno eversivo di chi voleva distruggere la democrazia dalle fondamenta. Un applauso lungo e fragoroso scioglie quel silenzio rispettoso.

SILVIA PERONI parla emozionata. È la figlia di Redento, uno dei feriti della strage. È morto a febbraio di quest’anno. In corpo, per cinquant’anni, ha avuto otto schegge della bomba, una per ogni vittima. Dopo di lei, parlano due studentesse di una scuola superiore di Salò. Una delle due è di seconda generazione, e ricorda che la violenza non ha patria: «Non è araba, musulmana o europea – dice – La violenza è violenza». Al massimo, ha una connotazione ben precisa: in piazza della Loggia come in piazza Fontana, sul treno Italicus o alla stazione di Bologna, è violenza neofascista. Lo dice la verità storica sullo stragismo in Italia, in qualche caso lo dice pure la verità giudiziaria. Non sembrano riuscire a dirlo i nostri governanti. Il presidente del senato Ignazio La Russa, che di quegli anni conosce bene la storia, si limita a parlare di ferita nella storia della repubblica. Più o meno la stessa cosa fa il ministro dell’interno Matteo Piantedosi. Matteo Salvini twitta di autovelox e condoni per le case. Giorgia Meloni soltanto in serata diffonde un messaggio che con un eufemismo definiremmo generico: «Il mio ricordo va alle vittime innocenti di quel tremendo attentato, ai familiari, ai feriti e a tutti coloro che ancora oggi ne portano le cicatrici indelebili».

MAURIZIO LANDINI, dal palco, ricorda e attualizza. «No alla democrazia del capo», dice. Parla di un’altra strage, quella dei morti sul lavoro. Parla di appalti e subappalti e di chi vuole dividere l’Italia con l’autonomia differenziata. Attacca chi vuole cambiare la Costituzione invece di attuarla. Conclude convinto che, così come 50 anni fa, anche oggi lavoratori e lavoratrici riusciranno a fermare questa deriva. Poco prima delle 11 arriva Sergio Mattarella. Silenzioso, si ferma davanti alla stele, accompagnato da un lunghissimo applauso che parte spontaneo quando entra in piazza. Poi, dal teatro Grande di Brescia, le sue parole riavvicinano istituzioni e piazza. «Brescia fu colpita al cuore durante una mattinata di impegno civile», dice. Colpita da chi, sottolinea, col suo disegno eversivo voleva destabilizzare il nostro paese e riportarlo indietro a un periodo di sopraffazione e violenza. E qui Mattarella traccia un filo nero tra fascismo storico e neofascismo. Coadiuvato in questo da chi, invece che servire lo Stato, lo ha tradito con depistaggi e falsità. Ma, dice il presidente della Repubblica, «lo Stato non si individua in corrotti e infiltrati ma nei veri servitori dello Stato, magistrati, forze sociali e singoli cittadini che si sono uniti nella ricerca della verità». «L’Italia repubblicana oggi è a Brescia e in piazza della Loggia e abbraccia la città», dice Mattarella. Lui, personalmente, abbraccerà, prima e dopo il suo intervento, Manlio Milani, fondatore dell’associazione dei famigliari delle vittime della strage. Memoria vivente di quel che accadde e da allora, quando la bomba uccise sua moglie, alla ricerca continua di verità e giustizia. Un testimone, dicono di lui. «Siamo testimoni non perché eravamo presenti, ma perché non abbiamo mai smesso di esserci», dice lui. E non smetterà certo ora.

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