Dopo mesi di «lockdown», e con la devastante crisi sociale innescata dal Covid, il cosiddetto «reddito di cittadinanza» ha raggiunto più di tre milioni di persone e 1,3 milioni di famiglie. Il presidente del Consiglio Conte, e i partiti della maggioranza, hanno annunciato una revisione del sistema nei termini di una politica attiva del mercato del lavoro come previsto dalla legge.

A Philippe Van Parijs, uno dei principali teorici del reddito di base al mondo, chiediamo se è questa la soluzione adatta ai tempi che ci aspettano. «Una società che si aspetta che le persone trovino ciò che è impossibile da trovare e li biasima per non averlo trovato può solo generare demoralizzazione, risentimento e rivolta – risponde l’autore di Reddito di base. Una proposta radicale (Il Mulino) con Yannick Vanderborght – Per la maggior parte delle persone è possibile trovare un’attività che a loro non dispiacerebbe fare e che paga qualcosa. Ma per molte persone in questi tempi, in certe aree e con certe competenze, è inimmaginabile trovare un’attività che paghi, in termini netti, almeno quanto il reddito di cittadinanza (in media poco più di 500 euro) o simili schemi minimi di sperimentati in altri paesi. Un reddito di base universale farebbe la differenza perché può essere combinato con qualsiasi reddito proveniente da un’altra fonte, anche se inizialmente solo molto part-time o su base occasionale, senza alcuna complicazione burocratica. In questo modo si facilita l’uscita dalla trappola intrinseca dei regimi di reddito minimo».

Cosa risponde a chi sostiene che il reddito di base è un deterrente per il lavoro e premia i lazzaroni e gli opportunisti?
Si può capire che i beneficiari di una prestazione soggetta a imposta sul reddito, che non possono sperare di trovare un lavoro remunerativo almeno quanto la loro prestazione soggetta a imposta sul reddito, cerchino di riconciliarsi con la loro situazione, allontanando le loro aspirazioni da un’occupazione retribuita dichiarata. Rispetto ai regimi a reddito minimo, come il reddito della cittadinanza, un reddito di base incondizionato aumenta l’incentivo materiale a lavorare. Allo stesso tempo, per evitare che datori di lavoro senza scrupoli utilizzino il reddito di base come sussidio per lavori schifosi, elimina l’obbligo di accettare un’occupazione come condizione per avere diritto a un sussidio. L’esperimento finlandese sul reddito di base ha dimostrato che, quando si passa da un regime condizionato a un reddito di base, l’effetto netto sull’occupazione – incentivi più forti, nessun obbligo – potrebbe essere positivo.

Il «reddito di cittadinanza» può evolvere verso un reddito di base in Italia?
Sì. Gli schemi di reddito minimo condizionato sono un risultato importante nella lotta contro la povertà estrema. Una volta in vigore, aprono la strada ad ulteriori progressi verso un reddito di base incondizionato per due motivi. In primo luogo, rendono più consapevoli i cittadini dei difetti intrinseci a questi schemi, come la trappola della disoccupazione, la stigmatizzazione e lo scarso tasso di adozione da parte del gruppo target. In secondo luogo perché, in linea di principio, garantiscono che ogni residente abbia almeno un reddito, rendono più facile la transizione verso un reddito di base incondizionato, sia dal punto di vista amministrativo che finanziario. Un reddito di base è semplicemente un modo più efficiente ed equo per garantire questo reddito minimo a tutti.

Da venti giorni è stata lanciata l’Iniziativa dei cittadini europei sul reddito di base incondizionato. Il suo obiettivo è quello di raccogliere un milione di firme nell’Unione Europea nel prossimo anno. In cosa consiste?
Una volta che queste firme saranno state convalidate dagli Stati membri, ciascuno deve raggiungere una quota, la Commissione ha sei mesi di tempo per formulare una risposta ufficiale e indicare le eventuali azioni che intende intraprendere. Durante questo periodo, i promotori dell’iniziativa hanno diritto a un incontro con la Commissione e a un’audizione in un Parlamento europeo. Questa iniziativa non chiede un reddito di base a livello europeo, ma «l’introduzione di redditi di base incondizionati». Se i promotori avessero chiesto un reddito di base a livello europeo, la loro iniziativa sarebbe stata probabilmente dichiarata inammissibile perché l’Ue non ha attualmente alcuna competenza diretta in materia di politica sociale.

Per garantire l’ammissibilità che cosa è stato fatto?
I promotori hanno fatto riferimento a una dichiarazione congiunta fatta nel 2017 “dal Consiglio e dai rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in seno al Consiglio, al Parlamento europeo e alla Commissione” che contiene la seguente frase: “Per combattere le disuguaglianze, l’UE e i suoi Stati membri sosterranno anche sistemi di protezione sociale efficienti, sostenibili ed equi per garantire il reddito di base, prevenire ricadute nella povertà estrema e costruire la resilienza”. La versione francese usava l’espressione “revenu minimum” per “reddito di base”, mentre la versione tedesca usava “Grundeinkommen” e la versione italiana “reddito di base”. Ciò ha reso difficile per la Commissione dichiarare l’iniziativa non ammissibile, anche con l’aggiunta discreta di “incondizionato” al “reddito di base”. Ma “redditi di base incondizionati in tutta l’UE” (al plurale) rimane molto diverso da un reddito di base incondizionato in tutta l’Unione Europea.

È possibile pensare a un reddito di base a livello continentale?
Nulla lo impedisce. È quello che ho chiamato «Eurodividendo». Il suo scopo non sarebbe, per usare le parole dell’iniziativa europea sui redditi di base incondizionati, quello di «garantire l’esistenza materiale di ogni persona e l’opportunità di partecipare alla società». Si tratta invece di una misura di stabilizzazione macroeconomica e demografica e avrebbe lo scopo di rendere più solidi i sistemi nazionali di protezione sociale, non di sostituirli. Si tratta di un importo medio di 200 euro, un po’ più alto nei paesi ad alto costo della vita, un po’ più basso in quelli a basso costo della vita.

Come lo si finanzia a livello europeo?
Avremmo bisogno di una base imponibile molto ampia – non solo le transazioni internazionali o i profitti delle multinazionali, ad esempio – e che possa essere definita in modo omogeneo in tutta l’Ue. Per ragioni pragmatiche, l’Iva è quindi l’opzione più plausibile. Anche a questo livello di 200 euro al mese, richiederebbe un’aliquota Iva del 19% circa.

Quale ruolo dovrebbero svolgere gli Stati membri dell’Unione Europea?
La formulazione dell’Iniziativa europea è coerente con il fatto che gli Stati membri sono interamente responsabili dell’attuazione e del finanziamento. Se esistesse un eurodividendo, le amministrazioni degli Stati membri dovrebbero essere coinvolte nell’attuazione, in modo da evitare inutili duplicazioni.

E se uno degli Stati membri si rifiutasse di adottalo, cosa consiglierebbe a chi volesse rivendicarlo?
Se si soddisfano le condizioni per ottenere un eurodividendo e non lo si ottiene, ci si rivolge all’amministrazione interessata e, se necessario, si va in tribunale.

Nell’emergenza coronovirus è previsto un sistema di Welfare europeo temporaneo: schemi di cassa integrazione, sostegno ai lavoratori autonomi e, probabilmente, un salario minimo europeo. Oggi, però, il reddito di base non è una delle priorità del Recovery Fund. Perché?
Perché un reddito di base europeo sarebbe due volte rivoluzionario: il suo essere universale e il suo essere transnazionale. Non ci si può aspettare di poter correre se non si può nemmeno camminare. Tra le misure da lei menzionate, la più importante è un’assicurazione contro la disoccupazione a livello europeo. Negli ultimi anni sono state discusse molte formule. Quella che sta emergendo è tra le più timide. Ma un sistema di indennità di disoccupazione finanziata dall’UE potrebbe essere un primo passo verso una ridistribuzione strutturale transnazionale interpersonale. Questo sistema non esiste in nessuna parte del mondo. Un Eurodividendo sarebbe un’illustrazione molto più audace di questo sistema.

Come potrebbe interagire un reddito di base all’interno di un sistema di Welfare di queste dimensioni?
Un reddito minimo europeo commisurato alle condizioni economiche creerebbe il caos perché interferirebbe con i sistemi nazionali basati sulle condizioni economiche. Al contrario, un reddito di base a livello UE sarebbe semplicemente un primo passo a cui possono seguire molti altri.

***Un milione di firme online in 28 paesi: dove firmare
Entro il 24 settembre 2021 l’iniziativa europea dei cittadini (Ice) che chiede alla Commissione Ue di istituire redditi di base incondizionati nei paesi dell’Unione Europea dovrà raccogliere un milione di firme in tutto il continente. A quel punto il parlamento europeo e la Commissione Ue dovranno discutere dell’opportunità di introdurre, attraverso atti formali, questa misura. In Italia si può firmare su questi siti: www.bin-italia.org e eci-ubi.eu. In venti giorni sono state raccolte l’8% delle firme necessarie, come in Germania. Ne occorrono almeno 53 mila, ma l’obiettivo è 107 mila. . Stanno andando forte la Slovenia con il 57%, Grecia al 22%, Ungheria 19%, Spagna al 16%. Qui bisogna raggiungere 83 mila firme

***Philippe Van Parijs: «Il reddito di base: una vera libertà sociale per tutti»
Philippe Van Parijs insegna all’università di Lovanio ed è membro fondatore del «Basic Income Earth Network» (Bien), la rete mondiale che promuove il reddito di base dal 1986. Lo snodo italiano della rete è il Basic Income Network (Bin Italia). Tra i suoi libri c’è «Reddito di Base. Una proposta radicale» (Il Mulino, con Yannick Vanderborght). Già nel 1995 nel libro «Real Freedom for All» ha sostenuto la fattibilità e la giustizia del reddito di base come uno dei fondamenti della libertà sociale.