Per quanti errori abbia commesso Pedro Castillo – e ne ha commessi tanti – non è lui “il cattivo del film”. I golpisti, quelli veri, si trovano nel congresso: l’ex presidente ha offerto loro solo il pretesto, sciagurato, per portare a termine quello che intendevano fare dal primo giorno della sua presidenza, e cioè destituirlo.
Per questo le ronde contadine (un tipo di organizzazione rurale incaricata di mantenere l’ordine e impartire giustizia a livello comunitario di cui faceva parte lo stesso Castillo), le comunità indigene, le organizzazioni di donne riunite nel Fronte agrario e rurale e altri settori popolari sono in strada già da cinque giorni – a Lima come a Cajamarca, Arequipa, Huancayo, Cusco, Puno -, occupando tra l’altro l’aeroporto di Arequipa, la seconda città più importante del Perù, e bloccando diverse strade, tra cui la Panamaricana, una delle principali vie che attraversa il paese.

UNA MOBILITAZIONE a tempo indeterminato – contro quello che le diverse realtà popolari definiscono come un golpe parlamentare, giudiziario e mediatico – i cui obiettivi sono molto chiari: la liberazione immediata di Castillo, arrestato il 7 dicembre con l’accusa di ribellione dopo il suo tentativo incostituzionale di sciogliere il parlamento e la sua destituzione; la rinuncia della nuova presidente Dina Baluarte, considerata traditrice, usurpatrice e golpista; la chiusura del congresso; elezioni anticipate. E anche la convocazione di un’Assemblea costituente che, come chiede per esempio il Frente Democrático del Pueblo, democratizzi il paese attraverso un nuovo patto sociale, recuperi la sua sovranità «in funzione dello sviluppo nazionale e del benessere della popolazione» anziché degli interessi delle trasnazionali e dell’oligarchia peruviana, e combatta la corruzione a tutti i livelli.

Non mancano in realtà neppure le critiche a Castillo, la cui vittoria aveva significato, sì, «una luce di speranza», ma che, «messo alle corde dalla destra», aveva fin dall’inizio disatteso le sue promesse elettorali. Tanto che il suo governo si era alla fine caratterizzato per la mancanza di un progetto politico chiaro, per l’assenza di una base di appoggio organizzata, per improvvisazione e incompetenza e per il ricorso alle «vecchie pratiche politiche delle classi dominanti basate sulla corruzione».
Ma il rifiuto di diversi settori nei confronti del governo Baluarte è tale che persino una figura da molti amata come Antauro Humala – fondatore del movimento etnocacerista (o etnonazionalista) e leader dell’insurrezione militare del 2005 nota come Andahuaylazo – è stata contestata per aver espresso il suo riconoscimento nei confronti di Baluarte. E ciò malgrado Humala, tornato in libertà lo scorso agosto tra non poche manifestazioni di esultanza, avesse anche lui chiesto lo scioglimento del congresso e la convocazione di elezioni anticipate, oltre al ripristino della Costituzione del 1979 (sostituita da quella approvata dal regime dittatoriale di Fujimori nel 1993).

LA RISPOSTA delle forze di polizia alle proteste popolari non si è comunque fatta attendere: tre, finora, le vittime della repressione, tra cui un adolescente di 14 anni e uno di 18, più una trentina almeno di feriti e diverse persone arrestate in maniera arbitraria, secondo la denuncia del Coordinamento nazionale per i diritti umani.
Ha provato, la presidente Boluarte, ad arginare la situazione, decretando lo stato di emergenza nelle regioni di Apurímac, Ica e Arequipa e soprattutto annunciando elezioni anticipate per il lontano aprile 2024. Difficile che basti questo a fermare le proteste.