Mi ricordo un ragazzo di Tivoli, un giovane antifascista, che mi disse una volta: «il 25 aprile è la festa mia».
Ecco, la festa mia , la festa nostra – non la festa di tutti. Perché è normale che in un mondo così vario esistano anche i fascisti, e allora deve esser ben chiaro che – anche se sono tanti, anche se sono potenti – il 25 aprile non è festa per loro. Quasi trent’anni fa, quando andarono al potere Berlusconi, Fini e Bossi, il manifesto promosse per il 25 aprile una memorabile manifestazione a Milano; ebbene, non ci aspettavamo certo che venissero anche loro insieme a noi quel giorno.

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Dicono che il 25 aprile è una festa divisiva. Hanno torto e hanno ragione. Hanno torto perché noi vorremmo che tutti condividessero quei valori di libertà che celebriamo insieme, e quindi tutti sono invitati. Ma hanno anche ragione: proprio perché è una festa di libertà non pretendiamo che chi non è d’accordo ci debba venire per forza. Non è la festa loro, e se ci venissero di malavoglia ce la rovinerebbero. Le feste del calendario civile non sono feste di precetto: chi non ha niente da festeggiare non ci venga, il primo maggio non è la festa degli sfruttatori, l’otto marzo non è la festa di chi rifiuta l’uguaglianza e la differenza (e d’altronde sono divisive pure le feste di precetto: basta pensare a quello che succede negli Stati Uniti, dove se dici “buone feste” invece di “buon Natale” sei un nemico della patria e della religione e fai piangere Gesù. D’altra parte, nessuno obbliga più chi non è cristiano ad andare alla messa della vigilia).

Perciò ha perfettamente ragione Valentina Cuppi, sindaca di Marzabotto: «Non ci sarà mai posto sul palco di Monte Sole per persone che hanno preso posizioni discriminatorie o che hanno manifestato nostalgia per il fascismo, perché celebriamo appunto la liberazione dal nazifascismo». Noi quel giorno ci ricordiamo le persone che i fascisti e i nazisti hanno ucciso, e festeggiamo la nascita di una democrazia che permette anche agli eredi dei massacratori di continuare a essere fascisti – ed è contro i valori del 25 aprile pretendere che le persone si fingano diverse da quello che sono. A suo modo, la loro esistenza dimostra che abbiamo ragione noi.

Per questo, vale la pena di fare una chiosa al resto della dichiarazione di Valentina Cuppi: «Per essere a Marzabotto il 25 aprile bisogna essersi dichiarati antifascisti». In realtà, anche se lo facessero, dichiararsi non fascista non basta; per essere invitati alla festa, bisogna che smettano di esserlo. Una delle norme più alte del cristianesimo, che si può ammirare profondamente anche da non credenti, è «ama il tuo nemico»: ebbene, la nostra carità cristiana verso il povero La Russa e i suoi pari vorrebbe che si convertissero, cambiassero e si convincessero a venire con noi – in questo senso, l’invito è sempre valido e la festa è aperta a tutti. Ma siccome la cosa è poco probabile, non mi dimentico che la norma cristiana, per quanto ci imponga di volergli bene, tuttavia non ci dice di dimenticare che il nemico resta nemico, e che – senza desiderarne morte e distruzione (cose che non appartengono a noi antifascisti) il tuo compito è ancora di continuare a combatterlo per impedire che continui a fare del male.

Per questo penso che sia fuorviante la polemica sulla bara e la fiamma nel simbolo della Meloni, o altre espressioni del genere. Finché quel simbolo c’è ed è esibito ad ogni angolo di strada, per noi è un campanello d’allarme. A loro serve per ricordarsi chi erano e chi sono – e per la stessa ragione serve anche a noi. Non ci serve tanto a rifare le battaglie del ’43-’44 (che loro stessi ossessivamente evocano con le stupidaggini sui morti delle Ardeatine «solo perché italiani» o sui «musicisti» armati di mitra a via Rasella), ma ad allertarci sul modo in cui quelle battaglie continuano oggi.

Quale che sia il loro simbolo, quali che siano le dichiarazioni formali o gli atti di presenza, continueranno a essere fascisti nell’anima finché continueranno a governare con la paura, a voler rilegittimare la pratica della tortura, ad accanirsi contro i poveri e i disoccupati, a rifiutare la cittadinanza a bambini nati da famiglie diverse dal loro modello unico o da genitori nati fuori dai sacri confini, ad erodere il diritto di scelta delle donne; finché continueranno trattare come un’emergenza e una minaccia il desiderio di vita e di libertà di chi arriva ai nostri confini a trattare l’aria, l’acqua e la terra come una merce, e così via. Il giorno che riusciremo a farli smettere, saremo contenti di averli con noi. Fino allora, il 25 aprile la festa è nostra.