Brindisi doveva essere la città della rinascita giallorossa, nella Puglia di Conte e del governatore Emiliano. E invece, pur sostenendo insieme Roberto Fusco, avvocato amico di Conte, l’ex premier non ha voluto neppure un comizio insieme a Elly Schlein.

Troppo forte la competizione nazionale tra i due partiti, anche se a Brindisi il Pd aveva accettato di sostenere un candidato grillino. Lui parte in metto svantaggio, 33,3% contro il 44% di Pino Marchionna, ex socialista, già sindaco negli anni Novanta, in carica quando migliaia di albanesi sbarcarono in città 30 anni fa, con lui anche un pezzo del terzo polo.

A sinistra non sono riusciti a ricomporre la clamorosa frattura del primo turno, quando l’uscente Riccardo Rossi si è presentato solo con un pezzo della coalizione che l’aveva fatto eleggere: Verdi e sinistra. Ha preso il 10%, ma in queste due settimane non c’è stato modo di ricucire con Fusco, pur essendo entrambi considerati ambientalisti. Ma con approcci diversi: Rossi è accusato di aver detto troppi no anche dal M5S, di avere un approccio antico.

Fusco dal canto suo ha condotto da avvocato lotte contro il rigassificatore, che non si è fatto. Al centro della sfida come fare della città un polo, qualcuno dice un hub, delle energie alternative. Una città modello per la transizione ecologica, che porti nuovo lavoro per i tanti giovani che se ne vanno altrove. «Si deve discutere con le aziende», mette a verbale Fusco esponendosi all’accusa di Rossi di essere «l’uomo dei sì ai grandi interessi».

«Si è preferito rimanere fermi sulle posizioni di principio meramente partitiche a danno dell’interesse comune. Non esprimiamo indicazioni di voto», dice Rossi. E così anche Pasquale Luperti, civico ex Pd che due settimane fa ha superato il 12%. Più che un campo largo, Brindisi si avvicina al ballottaggio come un esempio negativo per il fronte progressista. Non è escluso che i voti anti-Meloni si sommino nelle urne. Sarebbe un piccolo miracolo.