Per Giulia e le altre una piazza senza fine nel giorno dell’addio
Il discorso e la piazza A Padova i funerali di Cecchettin. Il padre Gino: «Io non so pregare ma so sperare. La sua morte sia il punto di svolta». Tantissimi studenti, lacrime, silenzio, applausi. Una scossa che non si interrompe
«Io non so pregare». Nella grande abbazia di Santa Giustina sta per concludersi una cerimonia celebrata in forma solenne. L’omelia è stata pronunciata dal vescovo di Padova Claudio Cipolla, al rito partecipano venticinque presbiteri, la comunione viene distribuita dentro la chiesa e all’esterno, con i celebranti che si affacciano sulla grandissima piazza ormai gremita dove si ergono due maxischermi.
E proprio qui, tra canti liturgici, paramenti sacri, porpore crocifissi e ceri, Gino Cecchettin spiega con voce pacata: «Io non so pregare, ma so sperare».
La bara bianca che racchiude il corpo di Giulia Cecchettin, il cui volto sorridente di poco più che ventenne appare nella foto poggiata sul feretro insieme a una composizione di rose bianche, arriva in Prato della Valle, dove sorge imponente l’abbazia, poco prima delle 11.
Giulia sorride anche sulla facciata della chiesa, nella grande foto sull’altalena. Ad accoglierla gli applausi delle prime centinaia di persone che si affollano, in un freddo livido, davanti alle transenne. La piccola folla diventa via via sempre più grande, migliaia di persone, tantissimi giovani arrivati in gruppi più meno folti dall’università, ieri mattina rimasta chiusa. E dalle scuole. Ci sono i compagni di liceo di Davide, il fratello di Giulia, e anche quelli del fratello più piccolo di Filippo Turetta.
Ragazze e ragazzi che, raccontano, a scuola hanno parlato del femminicidio, «in classe ognuno doveva esprimere il suo pensiero, poi ci siamo confrontati», spiegano. «Io penso che tocca a noi ragazzi cambiare, secondo me sta già succedendo», prosegue un compagno stretto nel suo giaccone. Tre universitarie si abbracciano con il volto pieno di tristezza, «non conoscevamo Giulia, ma dovevamo esserci».
Intanto arrivano altri gruppi, le biciclette vengono appoggiate lungo i muretti, la gente si dispone sempre più lontano dalla chiesa, sui ponticelli che attraversano il canale circolare sormontato dalle statue. La piazza è un mosaico di volti tristi, dolenti, increduli. Di giovani ma anche di meno giovani, cittadini che hanno voluto portare il loro ultimo saluto a questa ragazza che non conoscevano ma che ormai è un volto familiare, con un fiore, un fiocchetto rosso appuntato sul bavero, una preghiera.
DURANTE LE ESEQUIE c’è grande silenzio, commozione e attenzione sulle facce che, spesso rigate di lacrime, guardano in alto rivolte agli schermi che rimandano all’esterno, fuori dalla chiesa ma anche in diretta sugli schermi delle tv , dei telefonini, dei pc le immagini del funerale moltiplicando l’esperienza di un rito collettivo in un certo senso opposto e complementare alla piazza del 25 novembre.
Un funerale che diventa un fatto politico e non per le presenze nella basilica ma per la determinazione dei Cecchettin.
Dentro la chiesa c’è la famiglia di Giulia, compagne e compagni di studio, ma appunto anche alcuni esponenti politici come il ministro Nordio, il presidente della regione Zaia, il sindaco di Padova Giordani e tanti altri sindaci, i dem Boldrini, Zan, Martella… Ci sono le corone di fiori inviate dalla presidenza del consiglio, dalla Camera e dal Senato, dal Quirinale.
Ma lo Stato è più un’evocazione che una presenza. Un’intenzione che non sembra arrivare al dunque.
Al dunque arriva Gino Cecchettin. Di fronte alla bara bianca abbraccia, accarezza, sorregge la figlia Elena e il figlio più piccolo, Davide, stravolti. E quando sale sul pulpito ha solo un attimo di smarrimento nel leggere quei fogli sui quali ha composto un discorso lucido e preciso. Non una preghiera. Una speranza, con tante indicazioni puntuali. Una speranza che vuole sopravvivere nonostante il «tempo di profonda angoscia», la «tempesta terribile», una «pioggia che sembra non finire mai». Il ricordo di una figlia «straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare».
Gino Cecchettin ricorda che a sua figlia tra pochissimi giorni sarà consegnata una laurea che si è meritata. Nella basilica di Santa Giustina che custodisce il corpo di Elena Lucrezia Corner Piscopa, una delle prime donne laureate, spiega che Giulia era «una combattente», «oplita», uno «spirito indomito che ci ha ispirato tutti». Come è potuto accadere a lei? domanda suo padre. Che parla di una responsabilità educativa «che ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione…».
Si rivolge prima di tutto agli uomini, «perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere». Cita la Canzone del maggio di Fabrizio De Andrè, «da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti». Parla «con il cuore», lucidamente e senza retorica, a chi «è genitore come me: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno. E aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte», invitando a instaurare «un clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possesso e all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro».
SE ELENA CECCHETTIN con il suo grido di dolore e rabbia è stata il detonatore di una scossa che non è finita ma ancora provoca una reazione civile, suo padre Gino ne raccoglie il testimone per trasformare la rabbia in un discorso politico netto: «Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome – chiarisce – trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere».
Si rivolge quindi alla politica perché metta «da parte le differenze ideologiche». Non una preghiera, ma una sollecitazione accompagnata dalla speranza: «Dobbiamo trovare la forza di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento. La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne».
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Il papà di Giulia Cecchettin: “Voglio sperare che la sua morte produca pace e un vero cambiamento”TRA I BANCHI DELLA CHIESA, nella piazza silente, sgorgano altre lacrime mentre Gino Cecchettin sembra voler allontanare il più possibile il momento in cui dovrà seppellire sua figlia, poco distante dalla mamma. Legge una poesia di Khalil Gibran, «la vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia…».
Il cielo livido trattiene la pioggia, questa volta, ma il lungo silenzio si trasforma in rumore, lunghi applausi, chiavi che sbattono, campanelli, il grido «Giulia, Giulia» risuona nella piazza.
La giornata è ancora lunga, a Saonara, nella chiesa di San Martino, si svolge la cerimonia privata prima della sepoltura. «Prima o poi ci rivedremo, lo prometto, ma fino a quel momento so che sarai con me, perché sei il mio angelo custode, perché in fin dei conti lo sei sempre stato», le parole di Elena Cecchettin.
La bara di Giulia lascia la chiesa tra i palloncini bianchi che si alzano verso il cielo. Arriva il momento del dolore più privato e intimo. Insieme alla speranza che sia davvero l’inizio di una svolta. Perché come ha ricordato suo padre prendendo su di sé un peso infinito, quello che è accaduto a Giulia è accaduto a tante altre prima e continua a accadere dopo. Ogni giorno.
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