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Per battere il virus «sforzo rivoluzionario» in Nord Corea

Per battere il virus «sforzo rivoluzionario» in Nord CoreaPyongyang, 8 marzo 2020 – Ap /LaPresse

Coronavirus Nel paese sfiancato dall'embargo Onu, restrizioni severe, kit medici inviati da Mosca e tanta paura. Ma il senso dell'unisono rende la popolazione resiliente. Anche Trump offre aiuti, in nome dell'amicizia con Kim Jong-un. Ma a precise condizioni

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 13 marzo 2020
Piergiorgio Pescali Di ritorno da Pyongyang

Nell’aeroporto di Pyongyang solo un centinaio di persone affolla la sala partenze in attesa del volo che le porterà a Vladivostok, in Russia, da dove ognuno proseguirà il viaggio verso le proprie destinazioni. Il personale sanitario, bardato con tute e maschere di protezione controlla la temperatura ad ogni singolo passeggero prima dell’imbarco.

Il Covid-19 fa paura anche qui e dopo aver messo sotto «stretta osservazione medica confinata» per quattro settimane circa 370 stranieri residenti nel Paese, il governo ha deciso di togliere la quarantena a più di 200 di essi. Altri 3.700 cittadini nordcoreani delle provincie di Kwangwon, al confine con la Corea del Sud e di Jagang, al confine cinese sono stati dichiarati non infetti dopo aver passato un mese in isolamento.

 

Pyongyang International Airport, i controlli sui passeggeri in partenza per Vladivostok (Ap)

 

Rimangono ancora segregate circa 7 mila persone nelle provincie settentrionali e meridionali di Phyongan, le zone considerate più a rischio in quanto direttamente collegate con la ferrovia che collega Pyongyang con Pechino.

Sotto particolare attenzione è Sinuiju, il capoluogo di 360 mila abitanti sul fiume Yalu, oltre le cui rive c’è la città cinese di Dandong. Da qui transitano la quasi totalità delle merci che dalla Cina arrivano sui mercati nordcoreani e fino a qualche settimana fa, ogni giorno centinaia di commercianti nordcoreani valicavano il confine andando a comprare prodotti cinesi per poi rivenderli, più o meno legalmente, in tutto il Paese.

Dalla fine di gennaio la Corea del Nord ha bloccato le proprie frontiere con la Cina e la Russia mentre dal 20 febbraio ha chiuso scuole e luoghi di aggregazione. Le merci in arrivo sono sottoposte a una quarantena di dieci giorni e il Paese cerca in tutti i modi di difendersi da quello che gli organi d’informazione hanno definito essere un’«emergenza nazionale» che potrebbe mettere in ginocchio un’economia già affaticata a causa degli embarghi imposti dalle Nazioni unite. Kim Jong-un ha chiesto alla popolazione uno «sforzo rivoluzionario» per far fronte al pericolo che incombe.

[do action=”citazione”]Le politiche di contenimento alla diffusione del COVID-19 sono facilitate da due fattori: una singola catena di comando che decide le azioni da intraprendere e da un sistema collettivistico ormai collaudato che predilige il bene sociale alla libertà individuale.[/do]

In questo senso giocano un ruolo determinante le numerose manifestazioni di piazza e i Mass Games in cui la coordinazione, il senso dell’unisono, la consonanza nell’azione e nel pensiero sono elementi determinanti alla riuscita delle celebrazioni. Questi raduni trovano poi amplificazione nella vita quotidiana e nelle attività di tutti i giorni: in nome di una solidità etica e nazionale la resilienza del popolo nordcoreano si esibisce nelle situazioni più critiche.

La gestione dell’emergenza viene coordinata in collaborazione con équipe mediche che dettano le regole da seguire all’intero sistema. La più grande preoccupazione di Pyongyang è che un’eventuale epidemia virale farebbe collassare l’intero sistema sanitario, indebolito non solo da errate scelte politiche e gestionali, ma anche dagli embarghi imposti dalle Nazioni unite e che si ripercuotono anche sulla gestione umanitaria.

[do action=”citazione”]Le politiche sanitarie di Pyongyang si sono concentrate sulla prevenzione e sulle malattie tipiche delle fasce più giovani della popolazione, lasciando praticamente senza difese gli ultrasessantenni, il 14% della popolazione, che, in caso di contagio da COVID-19, sarebbe più esposta al pericolo.[/do]

I Centri epidemiologici di Pyongyang, Phyongan meridionale e Hwanghae settentrionale hanno già iniziato a utilizzare i 1.500 kit diagnostici del COVID-19 inviati da Mosca, mentre 700 “volontari su ruote” della Croce Rossa girano nei villaggi più remoti con megafoni e messaggi registrati per informare la popolazione sul comportamento da tenere per evitare il contagio.

Nel frattempo Trump, in nome dell’amicizia personale che lo lega a Kim Jong-un, dopo aver bocciato la proposta di inasprimento delle sanzioni avanzata dal Dipartimento del Tesoro Usa ha promesso aiuti di assistenza umanitaria a Pyongyang in cambio della riapertura dei colloqui con la Corea del Sud.

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