Bandiere russe, ritratti giganti, vessilli dei due paesi intrecciati tra loro sulla facciata del quartier generale del Partito del lavoro di Corea. «L’amicizia tra la Corea del nord e la Russia è eterna», recita uno striscione fuori dall’aeroporto di Sunan. «Diamo un caloroso benvenuto al compagno presidente russo Vladimir Vladimirovich Putin», recita un altro, affiancato da manifesti di propaganda. Pyongyang era vestita a festa sin dalla mattina di ieri per ricevere quello che i suoi media celebrano come il «miglior amico della popolazione nordcoreana», titolo tradizionalmente riservato ai leader cinesi. L’arrivo di Putin si è fatto attendere fino a ben oltre la mezzanotte, dopo una tappa a Yakutsk, nella Siberia orientale.

IL CAPO del Cremlino ha trascorso la notte alla Kumsusan Guesthouse, nei pressi dell’omonimo mausoleo dove sono conservati i resti di Kim Il-sung e Kim Jong-il, nonno e padre dell’attuale leader supremo della Corea del nord, Kim Jong-un. Non è escluso che Putin possa rendervi omaggio. Probabile il passaggio alla chiesa della Trinità, l’unico edificio religioso ortodosso del paese voluto dal padre di Kim, e alla torre della liberazione, eretta in memoria dei caduti sovietici impegnati alla fine della Seconda guerra mondiale alla cacciata dei giapponesi dalla penisola coreana. Putin pose qui una corona di fiori già nel 2000, nel suo precedente viaggio a Pyongyang. Decisamente un’altra epoca, in cui le due Coree cercavano il dialogo e Mosca non sembrava così lontana dall’occidente. Oggi, il viaggio appare una risposta al summit del G7 (che ha condannato l’approfondimento dei rapporti con Kim) e alla conferenza svizzera sull’Ucraina.
Nella piazza principale della capitale è pronta da giorni una “grande struttura”, compatibile con una parata militare. Previsti anche una serie di spettacoli artistici. Ma al centro delle poco meno di 24 ore nordcoreane di Putin c’è ovviamente il vertice con Kim, il secondo in meno di un anno dopo quello nell’Estremo oriente russo dello scorso settembre. Da allora, tra Mosca e Pyongyang avrebbero viaggiato oltre novemila treni container. Da una parte avrebbero contenuto razzi e munizioni utili a sostenere lo sforzo bellico della Russia in Ucraina, dall’altra parte invece soprattutto derrate alimentari per un paese reduce da una lunga chiusura ancora più ermetica del solito a causa della pandemia.

PREVISTA la firma di un trattato di cooperazione strategica. Il Cremlino smentisce la formalizzazione di un’alleanza militare, ma il documento congiunto dovrebbe contenere diversi passaggi sulla sicurezza. L’obiettivo di Putin pare evidente: ottenere ulteriore sostegno militare da Kim, il leader mondiale che sostiene in modo più esplicito la guerra, parlando di «missione sacra dell’esercito russo». La delegazione di Mosca comprende anche i capi della difesa e dell’agenzia spaziale, i ministri di Esteri e Sanità, col governatore del confinante Primorsky Krai. Segnale che i temi trattati saranno ampi. In cambio del suo aiuto, Kim mira a ottenere tecnologie per lo sviluppo del suo programma satellitare, cibo e merci. Significativo in tal senso che ieri i media di regime abbiano pubblicato un commento di Putin in cui si proponeva un sistema alternativo per scambi commerciali e pagamenti. Un modo per aggirare le sanzioni occidentali contro entrambi i paesi, definite «illegali».

L’ARRIVO di Putin coincide peraltro con un netto innalzamento delle tensioni tra le due Coree. Proprio ieri, diverse decine di soldati nordcoreani hanno attraversato il confine, ritirandosi dopo gli spari di avvertimento delle truppe sudcoreane. Altri soldati di Pyongyang sono rimasti invece feriti o morti per l’esplosione di alcune mine, mentre conducevano lavori di fortificazione lungo la frontiera. Segnale che stanno tornando a intensificarsi le manovre militari sospese negli ultimi anni grazie all’accordo intercoreano cancellato nelle ultime settimane, dopo le schermaglie propagandistiche tra palloni aerostatici pieni di spazzatura inviati da Kim e la riattivazione degli altoparlanti con le trasmissioni anti socialiste di Seul. Il sostegno di Mosca potrebbe rendere più audaci le mosse di Kim, rafforzando allo stesso tempo la voce di chi in Corea del sud vorrebbe sviluppare una propria deterrenza nucleare.

SULLO SFONDO, ma neanche troppo, osserva la Cina. Da sempre, il mantra di Pechino è il mantenimento dello status quo nella penisola coreana. Una priorità strategica esistenziale, ancor prima della «riunificazione» con Taiwan, visto che con l’ipotetico collasso di Kim la Cina rischierebbe di ritrovarsi 29 mila soldati americani al confine terrestre. A dir poco interessante il fatto che proprio ieri si sia svolto il primo vertice 2+2 diplomazia e sicurezza tra Cina e Corea del sud. La delegazione cinese a Seul era guidata dal vice ministro degli Esteri Sun Weidong. E secondo il governo sudcoreano si è parlato anche di «cooperazione tra Russia e Corea del nord». Un segnale che forse, al di là delle dichiarazioni ufficiali, a Pechino non sono così felici del nuovo impeto nell’amicizia tra Putin e Kim.