Pensiamo al dopo, quanto mai minaccioso
Molti e onesti compagni sono stati spiazzati, e ora smarriti, di fronte alla scelta di Letta di non fare accordi con Conte e di non aprire ad un’alleanza che comprendesse l’intero arco della sinistra frammentata. Una scelta incomprensibile tanto più rispetto a una legge elettorale infame che avrebbe dovuto obbligare le sinistre a fare fronte comune, almeno dal punto di vista elettorale, contro uno schieramento di destra che appare (anche se non lo è) compatto.
Ora Letta invoca il “voto utile” per non perdere indecorosamente. Ma questa volta la trappola non funziona, sia perché Conte appare capace e determinato di guidare lo schieramento M5S, sia perché a sinistra è nata la nuova formazione di Unione Popolare che si richiama a quei valori e a quelle classi da tempo abbandonate dal PD di Letta.
Unica giustificazione a sua difesa sarebbe la necessità di proseguire in quella fantomatica agenda Draghi e ricercare il consenso dell’establishment dei governi europei che non sanno più come uscire dal pantano della guerra in Ucraina se non continuando a fornire armi e prolungando la stessa guerra come vogliono gli USA e la Nato. Guerra che ha provocato almeno tanti danni ai suoi sostenitori quanto, se non più, delle sanzioni alla Russia.
Ma oltre la guerra ci sono altre e più ragioni per non condividere la politica del Pd di Letta. Un ripensamento di queste scelte scellerate non è più pensabile: la sconfitta appare certificata oltre che dai sondaggi dalla stessa disperazione con la quale Letta continua a fare appello a degli elettori delusi e rimasti fedeli ai valori della sinistra.
Sembra autoavverarsi quella infausta profezia che vede il PD destinato al suicidio, come già accadde per Veltroni e Renzi e non c’è molto da rallegrarsi anche tra chi, da tempo, ha deciso di non votare più per esso.
Eppure quel partito ha oltre a un glorioso passato, al suo interno uomini e donne sensibili alle questioni sociali ma le cui voci sono inascoltate e collocate ai margini.
Perché ormai è chiaro che il bacino elettorale forte del PD non è costituito dai diseredati e dalle classi sfruttate, quanto dal ceto urbano privilegiato e perfino dalle lobbies dei potentati che non sono interessati ad un cambiamento, che, anzi, temono e combattono perché mette in pericolo i privilegi acquisiti (a spese delle classi popolari).
Il voto “utile” sarebbe un voto a loro favore, aumentando le disuguaglianze e le sofferenze di chi ha ormai perso il treno delle magnifiche sorti e progressive. “Utile” lo è soprattutto perché confermerebbe le posizioni di privilegio acquisite e il mantenimento dello status quo.
Ma tutto questo è già successo; il 25 settembre appare ormai alle spalle perché al di là dei sondaggi tutto è quantomai prevedibile (lo ha capito le stesso Letta). Dunque occorre pensare al dopo, un dopo quantomai minaccioso per l’aggravarsi di tre questioni fondamentali: la guerra con i rischi di una sua estensione (fino alla minaccia nucleare), la pandemia che non ha mai smessi di mordere e, prima tra tutti, la crisi climatica i cui effetti appaiono ormai evidenti e oggettivi. Tutti temi che sono scomparsi dalle agende politiche dei partiti.
La crisi climatica e il conseguente riscaldamento del pianeta non è più solo una minaccia; gli effetti devastanti sul pianeta non lasciano più alcun dubbio che a rischio è la sopravvivenza stessa del vivente, umano e non. C’è una macabra ironia tra l’iniziativa che ha mandato in orbita (dicembre 2021) il più grande telescopio mai realizzato per scoprire le origini dell’universo e la minaccia di una estinzione della specie umana diventata, ad opera del capitalismo onnivoro, troppo aggressiva e arrogante per meritare (forse) di sopravvivere. E in questo si svela il vero carattere del capitalismo: nella distruzione della diversità per la sistematica tendenza a unificare ogni aspetto del reale sotto la categoria della merce e la misura del profitto.
Ma la vita è basata sulla diversità, senza diversità l’organismo muore, il pianeta muore.
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