Tutta in streaming, perché «è giusto che elettori e iscritti possano ascoltare», oggi pomeriggio al Nazareno andrà in scena la prima direzione del Pd dopo le elezioni. Un appuntamento che non vorrebbe essere prettamente un’analisi della sconfitta – che comunque ci sarà – ma che punterebbe a definire il terreno di gioco per il prossimo congresso. Non sarà una passeggiata. Benché il dimissionario Letta abbia detto che la sua relazione sarà «aperta», senza proposte «da prendere o lasciare», le varie correnti sembrano avere idee molto diverse sul da farsi. Il segretario, nella sua lettera agli iscritti della settimana scorsa, aveva parlato di quattro fasi in cui mettere in discussione nome, simbolo, alleanze e organizzazione per rendere il congresso davvero costituente, ma il percorso non potrà essere così lineare. Tanto per cominciare c’è da capire come coinvolgere i cosiddetti simpatizzanti e le forze ospitate nelle liste del partito alle politiche (Art. 1, Psi e Demos): impossibile ipotizzare per loro un tesseramento in blocco solo per partecipare a una discussione che potrebbe anche finire molto male.

Un congresso «a regole vigenti» come vuole Letta viene bollato da Vannino Chiti e Enrico Rossi come «un errore politico» perché «le regole vigenti sono parte integrante di un quel modello di partito personale che vede il segretario di turno depositario esclusivo del potere politico e gli organismi dirigenti ridotti a staff». La discussione, almeno fuori, è già aperta, tra chi suggerisce lo scioglimento del partito, o quantomeno la scissione definitiva dell’ala liberal da quella socialdemocratica (Bindi) e chi, come Bersani, propone di abolire le primarie, con Provenzano che sembra pronto a raccogliere l’idea: «Ormai sono solo un rito».

Riscrivere le regole, però, porterebbe via una quantità di tempo che forse non c’è: al massimo a febbraio si tornerà a votare per le regionali del Lazio e il Pd dovrà chiarire dove vuole andare a parare. Il dilemma è sempre lo stesso: che fare con il M5S (peraltro già parte della maggioranza di Zingaretti)? E con i terzopolisti di Calenda e Renzi? La questione, s’intende, riguarda in generale il campo a cui vuole appartenere il Pd. Il tempo stringe e le idee latitano, in compenso procede spedito il casting per il nuovo segretario: Paola De Micheli ha già annunciato la sua intenzione di essere della partita, Bonaccini, pur senza mai dirlo apertamente, rilascia ogni giorno dichiarazioni su come dovrebbe essere il Pd del futuro, stessa cosa fa Andrea Orlando, che su Fb ha lanciato una specie di piattaforma programmatica, sia pure molto generica. Poi ci sono tutti quelli che caldeggiano un’ascesa di Elly Schlein, che non è nemmeno tesserata. Il deputato emiliano Andrea De Maria propone il ticket tra i due emiliani, opzione che sulla carta potrebbe mettere d’accordo la totalità (o quasi) delle correnti. In tutto questo parte della discussione di oggi sarà occupata dal processo a Letta: da Monica Cirinnà ai post-renziani di Base Riformista, non sono pochi quelli che hanno già annunciato che interverranno, e lo streaming sarà un motivo in più per dare spettacolo.

Infine si pone il problema dei capigruppo di Camera e Senato. Una prima ipotesi vedeva Zingaretti e Franceschini a guidare le pattuglie dem nei due rami del parlamento, ma sarebbe in preparazione una mozione di Cecilia D’Elia per chiedere che vengano designate due donne. È così che adesso sembra possibile la conferma delle uscenti Debora Serracchiani e Simona Malpezzi. Fa discutere, in questo quadro, la mancata elezione della presidente del Pd Valentina Cuppi. Il problema è in realtà più grande: su 109 parlamentari, le donne sono appena 36.