Politica

Letta: «Resto fino al congresso. Faremo opposizione dura»

Enrico Letta foto LaPresseEnrico Letta – LaPresse

Tsunami democratico Il segretario Pd: sarò traghettatore ma non mi ricandido. Partita la corsa per il successore. Oltre a Bonaccini ci sono anche i sindaci Decaro e Ricci. Zingaretti rilancia l’asse con i 5S, Orlando evoca la scissione: «Basta moderatismo, rifondare la sinistra»

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 27 settembre 2022

«Gli italiani hanno scelto in modo chiaro e netto, l’Italia avrà un governo di destra, è un giorno triste per il nostro paese, ci aspettano giorni duri». Enrico Letta compare nella sala stampa del Pd con un’ora di ritardo. Scuro in volto, spiega di essersi battuto «in tutti i modi per evitare questo risultato insoddisfacente» e annuncia una opposizione «dura e intransigente». «Non permetteremo che l’Italia esca dal cuore dell’Europa, che si stacchi dai valori della Costituzione».

DI QUESTO ANNO E MEZZO alla guida del partito rivendica di averlo «tenuto unito». Ma ammette di aver fallito l’obiettivo principale, e cioè dare all’Italia una «guida progressista». Di qui il «rammarico profondo», anche «personale», che lo spinge a lasciare la guida del Pd. Non subito, ma dopo il congresso che sarà anticipato rispetto alla data prevista di marzo. Prevedibilmente si terrà a inizio 2023. «Assicurerò la guida del Pd nelle prossime settimane per spirito di servizio e fino al congresso, ma non mi candiderò». Letta spiega che «dovrà essere un congresso di profonda riflessione su chi è il Pd e dove vuole andare per recuperare il rapporto con una parte di società».

SULLE DECISIONI FUTURE non si sbilancia, «toccherà ad altri, a una nuova generazione, io mi limiterò ad accompagnare questo percorso in modo neutrale, un gesto d’amore verso il partito». Non rinuncia a un’ultima stilettata verso Giuseppe Conte, ma non chiude per il futuro né ad una opposizione comune né ad alleanze. «Se siamo arrivati al governo Meloni è perché Conte a luglio ha fatto cadere Draghi. Quello è stato il punto scatenante». E poi? «Partiti e movimenti che potevano far parte del campo largo hanno lavorato contro di noi per sostituirci, ma non ci sono riusciti».

Il riferimento è al M5S e a Calenda. «Ho lavorato fino all’ultimo per il dialogo, ma mi sono ritrovato solo». E tuttavia le opposizione divise «sarebbero un’ulteriore regalo» a Meloni. «Per avere un’opposizione forte «le relazioni devono riprendere, ma i risultati dicono che sarà il Pd ad avere la guida del campo alternativo alle destre, senza di non l’alternativa non esiste». «Non sarò io a gestire questa partita, e questo forse aiuterà nel riaprire il dialogo», confessa.

LETTA (CHE HA TELEFONATO a Meloni per riconoscere la vittoria di Fdi) rivendica la campagna elettorale che ha condotto: «Ci sono stati errori, ma ho detto le cose in cui credevo, anche sui rischi di un ’uscita dell’Italia dal nucleo dei paesi fondatori dell’Ue. E non a caso ora c’è grande entusiasmo nell’Europa guidata dai sovranisti». Troppo appiattito sui Draghi? «La mia percezione è che il cambio di clima nel paese sia avvenuto con l’inizio della guerra e la crisi economica che ne è derivata, a partire dalle bollette. A gennaio, quando rieleggemmo Matterella il clima era più positivo, la guerra ha alzato il livello di paura e quando succede la destra vince». Non una parola di autocritica sulla linea bellicista e schiacciato sulla Nato.

Accanto a lui ci sono le capogruppo Malpezzi e Serracchiani, Francesco Boccia, il vicesegretario Peppe Provenzano. Letta, da uomo d’esperienza, ammette che «quando perdi sei sempre solo».

E INFATTI ATTORNO al segretario sconfitto è già partito il totonomi per il successore. Uno dei papabili è il governatore emiliano Stefano Bonaccini che dice: «Il congresso deve essere una occasione di rigenerazione. Si deve partire dalla nostra identità, non dai nomi. La sconfitta è una responsabilità collettiva». Per il dopo Letta spuntano anche i nomi di due sindaci: Matteo Ricci di Pesaro e Antonio Decaro di Bari. Il secondo ci va giù duro: «Bisogna smantellare l’intero modello su cui il Pd si fonda: basta con i capi corrente che fanno e disfano le liste a propria immagine, basta con questo esercizio del potere per il potere, basta con l’autoconservazione come unico scopo della politica».

«IL PROBLEMA NON ERA il campo largo. Ma non averlo avuto. Divisi si perde tutti», attacca Nicola Zingaretti. «Deve riflettere chi per 3 anni non ha fatto altro che picconare in maniera ossessiva e miope questa idea. Organizziamoci subito per le regionali». «Ora faremo l’opposizione. A viso aperto ripartendo da una scelta di campo chiara, senza timidezze contro le disuguaglianze», chiude Zingaretti, neo eletto deputato.

ANDREA ORLANDO PARLA di una «sconfitta durissima». E attacca «chi è convinto che da una sconfitta di questa portata si esca con un congresso ordinario tutto incentrato sul cambio della leadership». No, il risultato delle urne « interroga il ruolo e il destino del Pd, un soggetto irrisolto. Va rifondata la sinistra». «Una spessa coltre di moderatismo ci impedisce di vedere la radicalità delle domande sociali che crescono nel Paese a causa delle diseguaglianze e della svalutazione del lavoro».

Orlando spiega che altri «ritengono che la funzione perpetua del Pd sia quella dell’aggiustamento di un sistema di cui ci si candida a essere il garante». «Sono strade molto diverse», avverte, evocando una possibile separazione tra le anime dem. Per evitarla «serve una nuova costituente». Quanto al governo, «il Pd proponga subito un patto d’azione alle altre opposizioni».

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