Pd, il nuovo manifesto prova a correggere 15 anni di errori
Congresso dem Spariti i peana alla flessibilità del lavoro e al mercato globale. Ora lo Stato diventa «regolatore» e c’è la lotta alle diseguaglianze
Congresso dem Spariti i peana alla flessibilità del lavoro e al mercato globale. Ora lo Stato diventa «regolatore» e c’è la lotta alle diseguaglianze
Se nel 2008 il Pd nasceva festeggiando la «nuova epoca» della globalizzazione, e proponendosi di modernizzare l’Italia per sfruttare al meglio le grandi potenzialità del mercato globale, 15 anni dopo sembra aver cambiato idea. Oggi l’obiettivo è mettere in salvo gli italiani, soprattutto quelli più deboli e i lavoratori, dai cataclismi e dalle crisi che hanno sfregiato le società occidentali.
Questo il succo del nuovo manifesto dei valori, scritto in queste settimane dal comitato dei 100 saggi guidato da Enrico Letta e Roberto Speranza, che dovrebbe essere votato dall’assemblea costituente. Il condizionale è d’obbligo, perché Letta ieri sera era ancora impegnato a far digerire il nuovo testo a tutti e 4 i candidati (soprattutto a Bonaccini) , e il risultato potrebbe essere quello di un voto «salvo intese»: in sostanza il sì definitivo dovrebbe arrivare dalla nuova assemblea che sarà eletta alle primarie del 26 febbraio.
NELLA BOZZA, CHE ABBIAMO potuto visionare, le novità non mancano. Già dal preambolo, che si intitola «il filo rosso», formula che allora sarebbe parsa pericolosamente comunista. Se 15 anni fa l’obiettivo era un partito a vocazione maggioritaria che pensava se stesso «non in termini di rappresentanza parziale di segmenti sociali», ma come partito interclassista e della nazione, il nuovo manifesto impugna l’art.3 della Costituzione e dice che «disuguaglianze, povertà, discriminazioni e marginalità sociali sono il più grande impedimento a ogni forma di coinvolgimento collettivo e di emancipazione».
Se allora si salutava il «mercato aperto» come «essenziale per la crescita» e il ruolo dello Stato era solo «fissare le regole per il buon funzionamento del mercato» e «non interferire nelle attività economiche», oggi la mission cambia: e si parla di «nuove modalità di intervento pubblico», di uno «stato regolatore e innovatore in grado di far risaltare la capacità trasformativa delle imprese, correggendo ed evitando al tempo stesso i fallimenti di mercato».
NOVITÀ ANCHE SUL LAVORO: nel 2008 i dem sostenevano che «la velocità dei processi innovativi impone flessibilità e frequenti cambiamenti nel corso della vita lavorativa», vedendo dunque il precariato come un effetto collaterale inevitabile, nel 2023 si impegnano «a difendere sempre i diritti di chi lavora, a partire dal diritto a un salario minimo e a una retribuzione che permetta di vivere una vita libera e dignitosa, come sancito anche dall’articolo 36 della Costituzione».
Di qui la dichiarazione di lotta «contro precariato, sfruttamento, lavoro nero e lavoro svolto in condizioni non sicure». E ancora: c’è l’impegno a «valorizzare quelle forme di impresa che riconoscono il ruolo attivo e protagonista di lavoratrici e lavoratori, a partire dalla forma cooperativa». E l’obiettivo di «sviluppare forme di partecipazione di lavoratrici e lavoratori nella gestione delle imprese».
Numerosi i riferimenti alla lotta ai cambiamenti climatici e alla necessità di un «approccio integrato fondato sulle tre dimensioni della sostenibilità: economica, sociale e ambientale». Lo sguardo verso la globalizzazione è dunque cambiato: dalle potenzialità da sfruttare si è passati alla necessità di «proteggere i sistemi di welfare e i mercati del lavoro nazionali». E spunta l’ambizione a un «più deciso cambiamento del nostro modello di sviluppo», con uno stato in grado di «orientare la dinamica dei mercati, inclusi quelli finanziari, verso gli obiettivi di uno sviluppo sostenibile».
SPARISCE L’IMPIANTO ideologico che fu anche dell’Ulivo, che vedeva il Pd come perno del bipolarismo e della democrazia maggioritaria. E con esso l’ambizione di una grande riforma delle istituzioni: ora per i dem la Costituzione va applicata nei suoi aspetti sociali, non più cambiata nella forma di governo.
Anche la vocazione federalista svanisce a favore di un’Italia «indivisibile» e « uguale da nord a sud». Entrano con più forza temi come i diritti Lgbtqi+ e dei nuovi italiani, con il riconoscimento della cittadinanza e «politiche lungimiranti di accoglienza». Su scuola e sanità l’accento torna sul ruolo del «pubblico». E sparisce tutta la paccottiglia sul «merito», tema ormai fagocitato da Meloni.
LETTA SI DICE SODDISFATTO del lavoro svolto che ha seguito personalmente in una quindicina di incontri. E che considera in linea con il programma delle politiche che «abbiamo approvato all’unanimità». E auspica «un’ampia condivisione del testo». Ma i dubbi dell’ala liberal che si è riunita intorno a Bonaccini e non vorrebbe toccare «l’impianto del Lingotto» non mancano.
Soddisfatti anche quelli di Articolo 1: il coordinatore Arturo Scotto parla di «archiviazione dell’impianto neoliberista del centrosinistra degli anni 90». Di «risultato positivo» parla anche Gianni Cuperlo, che ieri ha presentato la sua mozione. «Sarebbe assolutamente ragionevole approvarlo sabato in assemblea».
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