Ferragosto di fuoco per il Pd. Con la riunione della direzione, comodamente prevista per le 11 di mattina, rinviata all’infinito prima alle 15, poi alle 20, poi alle 21.30, infine partita dopo le 23. Così tardi che alla fine la riunione è stata breve, con Letta a giustificarsi: «Non era possibile ricandidare tutti, potevo imporre nomi miei ma non l’ho fatto perché siamo una comunità».

POI È TOCCATO AL SUO braccio destro Marco Meloni, dominus delle liste, leggere i nomi dei sommersi e salvati: una lista scritta r irscritta così tante volte che è capitato pure che leggesse un paio di nomi sbagliati («Scusate, era una versione vecchia»), con fogli che gli ballavano tra le mani, lo sguardo fisso in basso, la presidente Valentina Cuppi a tentare di dargli una mano a mettere ordine tra le carte.

Dopo di lui hanno preso la parola due dei principali capicorrente: Andrea orlando ha protestato per la posizione di Carlo Guccione, uno dei suoi fedelissimi piazzato in fondo alla lista in Calabria. Lorenzo Guerini, torvo, ha tenuto un’orazione di un quarto d’ora contro l’eliminazione di Luca Lotti, già capo del giglio magico renziano, sotto processo a Roma per il caso Consip. E Guerini: «Noi siamo garantisti, non si può escludere qualcuno per una indagine».

ALLA FINE GLI EX RENZIANI di Base riformista non hanno partecipato al voto sulle liste per protesta (3 contrari e 5 astenuti il risultato). E ieri Lotti ha tuonato: «Letta mi ha detto che ci sono nomi di calibro superiore al mio, ma la scelta è politica: non si nasconda dietro a scuse vigliacche». «Una decisione dettata dal rancore», aggiunge Lotti, in perfetta linea con Renzi.

Tra gli ex renziani la rabbia non si trattiene: «I riformisti sono stai epurati, stanno cercando di rifare i Ds», tuona Rosa Di Giorgi. Un’altra ex fedelissima del fiorentino, Alessia Morani, s’infuria anche se candidata: nel collegio uninominale di Pesaro, la sua città (non blindato ma contendibile) e al terzo posto nel proporzionale. «Non intendo accettare queste candidature», spiega lei.

STESSO SCHEMA PER Monica Cirinnà, madre della legge sulle unioni civili, cui è stato affidato il collegio che comprende l’Eur, Ostia e i Comuni di Ciampino e Fiumicino (il cui sindaco è Esterino Montino, marito di Cirinnà). Lei prima annuncia il ritiro: «Mi hanno proposto un collegio dato perdente in due sondaggi, sono territori inidonei ai miei temi e con un forte radicamento della destra, per fortuna ho altri lavori». Poi fa retromarcia: «Il Pd mi ha dato uno schiaffo, ma accetto un collegio difficile come un gladiatore».

ANCHE EMANUELE FIANO non è soddisfatto, ma più composto: per lui niente ztl, ma un collegio della periferia milanese che comprende la ex roccaforte rossa di Sesto San Giovanni, da tempo conquistata dalle destre: «È una sfida difficile, ma così intendo la militanza politica». In odore di rinuncia un big come Enzo Amendola, solo terzo nel listino del Senato a Napoli (dopo il paracadutato Dario Franceschini e Valeria Valente), posizione molto incerta. Da lui silenzio totale, Letta l’ha incontrato per convincerlo ad accettare comunque la sfida. Ancora in ballo anche il costituzionalista Stefano Ceccanti, quarto in uno dei listini proporzionali in Toscana.

FUORI DALLA LISTE l’ex ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli, e i “giovani turchi” Giuditta Pini e Fausto Raciti. La corrente di Matteo Orfini viene decisamente ridimensionata: salvi praticamente solo lui (capolista nel basso Lazio, feudo delle destre) e Chiara Gribaudo, mentre Francesco Verducci è solo quarto in Piemonte.

Blindato invece il seggio di Pierferdinando Casini a Bologna, nonostante le dure proteste dei militanti locali e il fatto che lui, dopo l’elezione nel 2018 col Pd, non ha mai aderito al gruppo dem in Senato. Letta non ha sentito ragioni: «Ci aiuterà a difendere la Costituzione». Posti certi anche per Piero De Luca, figlio del governatore campano, e per il suo vice Fulvio Bonavitacola. Anche Michele Emiliano fa bingo e schiera il suo capo di gabinetto Claudio Stefanazzi, il suo vice Raffaele Piemontese e la presidente del consiglio regionale pugliese Loredana Capone.

CONFERMATI IN OTTIME posizioni i ministri Orlando e Guerini, il coordinatore di Base riformista Alessandro Alfieri, le due capogruppo Serracchiani e Malpezzi, l’ex ministro Delrio, Francesco Boccia capolista in Puglia, Anna Ascani e Walter Verini in Umbria, Alessandro Zan, Laura Boldrini e Piero Fassino (secondo nel proporzionale in Veneto).

Entrano in posti sicuri Nicola Zingaretti, il vicesegretario Giuseppe Provenzano (numero uno in Sicilia alla Camera), l’ex sindaco di Bologna Virginio Merola e così anche Marco Furfaro in Toscana e il responsabile organizzazione Stefano Vaccari in Emilia. Torna Gianni Cuperlo (secondo in Lombardia) dopo essere stato epurato da Renzi nel 2018. Rientri anche per la prodiana Sandra Zampa e Andrea Martella (vicinissimo a Orlando) in Veneto. Regione scelta da Letta insieme alla Lombardia: in entrambi i casi è capolista al proporzionale.

TRA LE NEW ENTRY le due ex leader di Cgil e Cisl Susanna Camusso e Annamaria Furlan, Carlo Cottarelli, Elly Schlein e quattro capilista under 35: Marco Sarracino (Napoli, ) Caterina Cerroni (Molise), Raffaele La Regina (Basilicata) e Rachele Scarpa (Veneto). Posti sicuri per la pattuglia di Articolo 1: Roberto Speranza, Federico Fornaro, Nico Stumpo e Arturo Scotto. L’unica incerta tra loro è la sottosegretaria all’Economia Cecilia Guerra (terza a Torino).

LETTA SI DICE SODDISFATTO del lavoro fatto. E ai tanti che si lamentano ricorda che sono stati loro a votare il Rosatellum e il taglio dei parlamentari. Agli ex renziani un messaggio chiaro dal Nazareno: «Nel 2019 c’è stato un congresso che ha cambiato gli equilibri interni, è normale che questo si rifletta anche nelle liste, l’area riformista è stata adeguatamente rappresentata».