Che il rigore non sia ottuso e il patto di stabilità che dovrebbe esordire il prossimo gennaio dopo 4 anni di blocco per Covid dia spazio alla crescita. È la posizione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ieri a Ortigia (Siracusa) ha incontrato in un bilaterale l’omologo tedesco Frank Walter Steinmeier in occasione di un premio per la cooperazione tra i due paesi.

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L’INTERVENTO non è stato casuale. Il governo social-ordoliberale Scholz, con il «falco» delle finanze Christian Lindner, si è infatti detto più volte insoddisfatto del compromesso proposto dalla Commissione Europea sul quale gli Stati membri stanno trattando e ha posto «paletti» così stringenti da fare sbiancare paesi con un alto debito pubblico come l’Italia. Mattarella ha però ricordato che senza un accordo entro la fine dell’anno, le vecchie regole sarebbero ripristinate, la situazione potrebbe complicarsi, non solo per l’Italia. «Dobbiamo trovare un’intesa sulla proposta per le regole condivise sul bilancio Ue» ha aggiunto Mattarella.

A TESTIMONIANZA che si sta entrando nel vivo delle trattative sul patto di stabilità ieri è intervenuto sullo stesso argomento il prossimo governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, oggi membro del consiglio della Banca Centrale Europea. Ieri, in un seminario congiunto delle istituzioni fiscali indipendenti europee e del Sistema europeo di banche centrali, anche lui ha chiesto meno rigidità rispetto alla bozza di revisione del patto di stabilità e più autonomia fiscale da parte dei governi.

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È NECESSARIA, ha detto Panetta, una «flessibilità sufficiente nella nostra governance di bilancio» al posto di regole troppo rigide e predefinite. Panetta, inoltre, ha evidenziato gli «elementi mancanti» nel progetto di riforma del Patto. Tra questi c’è «la capacità di bilancio centrale permanente», un elemento ritenuto importante per la «crescita». «In sua assenza non saremo in grado di provvedere alle necessità finanziarie, alle economie di scala e a coinvolgere gli investimenti privati necessari per guidare la transizione energetica in Europa, la trasformazione digitale e l’architettura sulla sicurezza». Ed è necessario pensare a un altro «Next Generation Eu» (il Pnrr). Senza, «rischiamo di fare passi indietro invece che avanti». Ipotesi, quest’ultima, a dir poco remota.

QUESTE USCITE si proiettano sullo sfondo neoliberale disegnato da Giorgia Meloni e dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti in Italia. Anche per loro i paletti vanno bene, ma che almeno non chiudano il recinto. Per questo hanno chiesto di scorporare gli investimenti per la «transizione» e la «difesa» dal calcolo del deficit. L’ipotesi «Golden rule» (così è chiamata) per ora è stata respinta perché, secondo il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni, sarebbe bilanciata da un maggiore spazio di bilancio creato allungando i tempi dell’aggiustamento fiscale fino a 7 anni. Tanto avrebbe l’Italia per dare una regolata ai conti e concentrarsi sugli investimenti. Il risultato, ad avviso di Gentiloni, sarebbe lo stesso. In Italia non la pensano così. È anche per questo che il governo ha attaccato l’italiano a Bruxelles.

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TRA LE SPESE da scorporare dal calcolo del deficit ci sono anche quelle per le armi. Lo ha ricordato ieri il ministro della difesa Guido Crosetto che non ha mai nascosto la difficoltà di rispondere all’ingiunzione della Nato: aumentare gli «investimenti» per la «difesa» al 2% del Pil. «Gli altri stanno rispettando gli impegni, prima o poi dovremo rispettarlo anche noi». Con la «Golden rule». Oppure tagliando la spesa sociale, per esempio.

IN UN’AUDIZIONE alla commissione Affari economici del Parlamento Ue ieri Nadia Calvino, vicepremier e ministra spagnola dell’Economia presidente di turno del Consiglio Ue, ha detto che entro settembre terminerà il «lavoro tecnico» sul patto e che «non c’è un piano B». Al sacro testo dell’austerità flessibile manca il 30%, cioè la parte più importante, ma deve entrare in vigore nei tempi stabiliti. Anche lei ha insistito sugli «investimenti pubblici» e sulla singolarità di ciascun paese.