Alla legge di bilancio in alto mare mancherebbero «14-15 miliardi di euro», o «forse più», ha ammesso ieri il ministro leghista dell’economia Giancarlo Giorgetti. La stima, lanciata ieri nel chiacchiericcio mediatico, sarebbe il risultato dell’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Banca Centrale Europea per combattere l’inflazione con risultati deludenti. Oltre che sui mutui e sui salari questa politica criticata da molti fronti, e a più riprese anche da esponenti del governo Meloni, sta producendo effetti anche sugli interessi pagati sul cospicuo debito pubblico italiano. «Io rispetto le decisioni della Bce, ma faccio politica e queste situazioni le devo valutare» ha detto Giorgetti.

«CERTAMENTE se i tassi fossero rimasti quelli dell’anno scorso o di due anni fa io avrei avuto questi soldi in più da mettere ad esempio sulla riduzione fiscale – ha aggiunto – Per chi è indebitato l’aumento dei tassi di interesse non è un fatto positivo. Noi abbiamo un debito tale per cui lo spread rispetto all’anno scorso di tassi d’interesse fa sì che una manovra di bilancio sia stata portata via dalla rendita finanziaria».

GIUNTO alla seconda legge finanziaria del suo mandato, Giorgetti continua a giocare la parte del realista disincantato, non senza qualche sfumatura di vittimismo prodotto dalla nebulosa della «finanza», un modo di produzione capitalistico che per le destre resta una materia oscura di cui avere «paura». Questa passione triste, il principale capitale politico delle destre, è stata così descritta da Giorgetti: «Temo più i mercati che comprano il nostro debito pubblico» che l’«Europa», intesa come la Commissione . A Bruxelles Giorgetti chiede l’esclusione degli investimenti (il Pnrr) sul nuovo «Patto di stabilità e crescita». Richiesta non scontata avanzata al tavolo delle trattative da dove si osserva la recessione tedesca con qualche preoccupazione, come si è visto all’Ecofin di Santiago de Compostela.

NON AVENDO la forza politica per cambiare la nuova normalità economica, né l’intenzione di modificare l’interpretazione delle origini e degli scopi dell’attuale ciclo inflattivo data dalle banche centrali (è un’inflazione da profitti, non da salari, per esempio) l’approccio di Giorgetti si riduce all’amministrazione dei «numeretti». È l’espressione usata ieri dal ministro quando ha parlato del livello di deficit che sarà proposto dal governo ed approvato dal parlamento. È il film di 4 anni fa che si ripete, prima che il patto di stabilità fosse sospeso per Covid. La protagonista è la legge morale dell’austerità. La storia è quella del «vincolo esterno» che pone un problema di democrazia economica in Europa. E, come gli altri, l’estrema destra si adegua mentre ringhia, impotente, contro l’immigrazione, i reati, i complotti.

GIORGETTI ha invitato i suoi colleghi ministri a contenere le già modeste richieste in vista delle prime formulazioni della legge di bilancio. La prima scadenza (Nadef) è prevista entro il 27 settembre, mentre il 22 si attendono le stime dell’Istat sulla crescita. In ballo ci sarebbe anche una revisione statistica del Pil 2021 che potrebbe sdoganare circa 3 miliardi. Briciole cadute dal desco delle questioni contabili che rendono la legge di bilancio lo specchio delle illusioni perdute di tutti i governi. Diversamente da quanto sostenuto da Meloni, l’anno scorso non è stata un’eccezione. Anche in questo l’esecutivo è alla ricerca di risorse limitate per la conferma del taglio del cuneo fiscale per il 2024, la detassazione delle 13esime, gli incentivi alla natalità, la minimale manutenzione delle pensioni.

TRA PALAZZO CHIGI e via XX settembre c’è un’inevitabile consapevolezza della situazione comprovata ieri anche dall’Ocse che ha stimato il calo del Pil nel 2023 e nel 2024 allo 0,8%. Solo a giugno parlava di +1,2% per quest’anno e +1% per il prossimo. Nel governo ci speravano. Avevano creduto, per un istante, ai «numeretti».