Le vecchie cartine di Kansas City nello stato del Missouri mostrano come lo sviluppo urbanistico della città intorno agli anni Trenta abbia coinciso con un preciso riallineamento delle classi sociali e delle etnie: nella zona nord i neri, gli italiani e gli ebrei, i gangster e gli spacciatori; a sud le villette della borghesia bianca, nel quartiere Mission Hills, con le banche, il campo da golf e il Country Club. È questa la topografia che fa da sfondo alle vicende della coppia protagonista dei due romanzi gemelli dello statunitense Evan S. Connell, Mrs Bridge e Mr Bridge, resa celebre anche dal film del 1990 di Merchant Ivory.

Distanti dieci anni l’uno dall’altro, i due libri, rispettivamente del 1959 e del 1969, rielaborano nella finzione i rapporti reali che esistevano nella famiglia di Connell, la figura del padre, medico di successo, e quella della madre, figlia di un giudice, ambedue appartenenti alla società benestante di Kansas City. Ma nonostante l’origine autobiografica degli episodi, Connell si sottrae all’osservazione diretta del suo passato per assumere il ruolo di «curatore» delle brevi scene di vita quotidiana che compongono i due romanzi, lasciando a noi il giudizio finale su un matrimonio e un’intera classe sociale durante la Grande Depressione e fra le due guerre. Mr Bridge (traduzione di Giulia Boringhieri, Einaudi, pp. 286, € 19,50) racconta dalla prospettiva del marito più o meno le stesse vicende familiari narrate nel precedente romanzo (uscito due anni fa sempre per Einaudi) dal punto di vista della moglie.

Un avvocato di successo

Sono in gioco i successi di una famiglia borghese nello scorrere monotono dei giorni, istantanee in un vecchio album tenute insieme dallo svolgersi cronologico delle vicende e dalla voce esterna e neutrale dell’autore-curatore. Mr Bridge entra in scena come marito amorevole e ottimo padre che lavora sodo per garantire alla famiglia una vita agiata. Avvocato di successo, al momento giusto ha sposato India, una ragazza di buona famiglia con cui ha avuto tre figli; vivono in una bella casa a Mission Hills, hanno macchine costose, elettrodomestici e argenteria; per svagarsi frequentano il Country Club e gli ambienti più esclusivi della città. Un sogno americano perfettamente riuscito.
Talvolta, però, Mr Bridge avverte un certo fastidio, un tormento interiore che mina le sue certezze.

a professione non gli concede il tempo d’indagare, così si butta nel lavoro, segue le regole dell’apparenza imposte dal suo ceto sociale, programma nei dettagli un futuro di prosperità. Taciturno, scontroso e conformista, ha un fertile retropensiero che lo induce a dibattere dentro di sé ogni questione per arrivare a soluzioni di compromesso capaci di renderlo «ragionevolmente in pace col mondo». Lo vediamo a capotavola in molte di queste vignette, immortalato mentre taglia l’arrosto o dà a tutti i consigli opportuni; oppure in camera da letto mentre India, seduta al tavolino da toilette, si toglie le forcine dai capelli; oppure in salotto a ascoltare la radio o dire la sua, convinto d’aver sempre ragione, su Roosevelt, la guerra, i linciaggi in Georgia. Unica vera distrazione di Mr Bridge è scendere di tanto in tanto nel caveau della sua banca a esaminare i suoi redditizi investimenti. Tocca con piacere la carta dei titoli elegantemente decorati e rilegge compiaciuto le sue volontà testamentarie: un giorno tutti si sarebbero inchinati alla chiarezza del documento, al ritmo della prosa, «all’equilibrio della mente che l’aveva composto».

Nel mondo di Walter Bridge vige una netta divisione dei ruoli ripartiti «quasi equamente» fra le donne da cui dipende il suo benessere: alla moglie la conduzione della famiglia, quella «creazione misteriosa» a cui lui pensava di aver contribuito ben poco; a Julia, la segretaria fidata e efficiente che vive alla sua ombra, l’organizzazione del lavoro in ufficio. Non lo disturba il fatto che come «caparbi viticci femminili» queste due donne gli crescano intorno e lo avviluppino per sorreggerlo e aiutarlo. Non meno importante è Harriet, la domestica di colore dalle straordinarie doti di cuoca che con i suoi piatti regala a Walter forse i momenti più soddisfacenti delle sue giornate. E poco importa se oltre la soglia di questa loro indispensabile efficienza ci siano persone fragili e vulnerabili. Goffo e privo di parole quando servirebbe prendere posizione nei confronti del figlio, che maneggia pistole e fucili, combina guai a scuola e finisce in un commissariato, anima con lui buffi dialoghi, in cui il linguaggio colorito e dissacrante di Douglas contrasta con la prosopopea del padre, fornendoci una ulteriore fonte di gradevole comicità.

Sono questi passaggi a rendere Mr Bridge un capolavoro e Connell un autore che ha interpretato stilisticamente la provincia americana dove appaiono più marcate le divisioni sociali, e dove si insinua un senso di alienazione e di isolamento. Passi notevoli nascono da argomenti di nessun interesse che in mano a un autore di minor talento avrebbero prodotto una autentica noia. Qui, invece, la noia alimenta una scrittura precisa e leggera, semplice come è Mr Bridge, disorientato dal nuovo che avanza e dalla Storia sugli scenari nazionali e internazionali – il New Deal, i conflitti razziali, il comunismo, Hitler e i presagi di guerra.

Il Grand Tour europeo insieme alla moglie è interrotto dall’invasione nazista della Polonia e i figli sfidano i suoi limiti morali e sociali, il suo mal celato razzismo e antisemitismo. Il punto di vista di Walter corrisponde infatti alla distribuzione geografica della popolazione di Kansas City negli anni Trenta: guarda con sospetto alla periferia nord della città, prevede incursioni di delinquenti di ogni sorta nel rione in cui lui e i suoi simili si sono barricati, proibisce ai figli di oltrepassare i confini del loro quartiere e vede nell’ingresso di studenti neri nelle università dei bianchi il germe della destabilizzazione. Ma nonostante le sue inconfutabili certezze quell’oscuro disagio in Mr Bridge si fa più acuto via via che invecchia nella percezione che «tutto ciò in cui credeva, e che aveva cercato di dimostrare, fosse poca cosa, che tutta la sua vita fosse andata sprecata». Si fanno strada i rimpianti per le troppe cose non fatte perché «gli erano sembrate rischiose» nella sua corsa verso l’autoprotezione e la solidità economica.

Un romanzo datato 1969

L’arco temporale di Mr Bridge non coincide esattamente con quello di Mrs Bridge e bisognerà leggere nella prima parte di questa piccola pastorale del Middle West l’epilogo della vita di Walter dopo aver gustato, nelle ultime pagine del libro a lui dedicato, i bei passi, malinconici e ironici, in cui fa il bilancio di una vita, di una classe sociale e dell’epoca fra le due guerre. Mr Bridge è del 1969 e un paragone fra quel decennio e il tempo narrato nel romanzo è inevitabile: i figli ribelli, la seconda guerra mondiale, i conflitti razziali, la liberazione sessuale, le riviste d’avanguardia del Greenwich Village sembrano infatti indicare il modo storicamente traslato che Evan S. Connell ha adottato per raccontare il suo tempo.