L’assoluzione in secondo grado dello psicoterapeuta Claudio Foti, uno dei principali imputati nel processo sulle presunte irregolarità negli affidi minorili in Val d’Enza, dimostra che il cosiddetto «caso Bibbiano» si è sempre svolto in due dimensioni parallele.

La prima è quella giudiziaria, per l’appunto. Secondo l’inchiesta «Angeli e demoni» – esplosa nel 2019 e coordinata dalla procura di Reggio Emilia – in alcuni comuni dell’Emilia-Romagna (tra cui Bibbiano) esisteva un sistema che portava all’allontanamento illecito di alcuni bambini dalle loro famiglie d’origine. Sarebbe stato gestito da funzionari dei servizi sociali in combutta con la onlus torinese Hansel e Gretel, fondata da Foti. Per l’accusa i minori venivano sottratti attraverso perizie false o confessioni di abusi sessuali inesistenti, ottenute con metodi psichiatrici controversi.

Gli illeciti, volti soprattutto al profitto economico, venivano poi coperti politicamente dagli amministratori locali. Tra questi spiccava Andrea Carletti, ex sindaco di Bibbiano del Pd. I capi d’accusa contestati a vario titolo sono quasi 100. Foti, che ha scelto il rito abbreviato, era imputato per abuso d’ufficio e lesioni dolose gravi. In primo grado è stato condannato a quattro anni di carcere, ma l’appello ha ribaltato il verdetto. Il processo contro le altre 17 persone è ancora in corso, dunque la vicenda è ben lontana dalla conclusione.

Ma se ci spostiamo nella seconda dimensione, quella mediatico-politica, nulla di tutto ciò ha la minima importanza. Perché il caso si è chiuso nel momento in cui è iniziato, cristallizzandosi in un’esasperata campagna di denigrazione condita da teorie del complotto, disinformazione, panico morale e omolesbobitransfobia. La sola parola «Bibbiano» evoca un mondo oscuro e depravato, popolato da pedofili che fanno l’elettroshock ai bambini e li trafficano per soldi in ossequio all’«ideologia gender», venendo infine protetti da politici comunisti e una stampa che insabbia la verità.

In retrospettiva si è trattata della versione italiana di QAnon, famigerata teoria complottista che sostiene l’esistenza di una cricca di pedofili satanisti che governerebbe segretamente gli Usa. Similmente a quanto accaduto Oltreoceano, anche «Bibbiano» è diventata un’arma politica in mano alla destra, a gruppi complottisti, movimenti ultracattolici e neofascisti. Nonché al M5S, che all’epoca era (ancora per poco) al governo con la Lega. Il bersaglio principale è stato il Pd, accostato a pedofilia e traffico di minori.

In molti post sui social network che riportavano notizie sull’indagine compariva l’hashtag #PDofili, mentre l’allora leader del M5S Luigi Di Maio accusava il partito di «togliere i bambini alle famiglie con l’elettroshock per venderseli». In un post sul Blog delle Stelle, l’ex ministro degli Esteri rincarava la dose e parlava di un «sistema da incubo» – ovviamente sponsorizzato dal partito – in cui i bambini venivano affidati a «personaggi discutibili, tra i quali titolari di sexy shop, pedofili, gente con problemi mentali». In svariate dichiarazioni Di Maio prometteva che non si sarebbe mai alleato con il «partito di Bibbiano». Qualche mese dopo, però, ci siglato un accordo di governo.

In questo clima morboso e sovreccitato non sono mancate intimidazioni e azioni contro le sedi Pd. Il 4 luglio 2019 fuori da quella di Bergamo sono comparsi cappio e striscione con la scritta: «Bibbiano, ad uno a uno abbiamo i vostri nomi / siete avvisati non saremo certo buoni». Lo stesso giorno due militanti di Forza Nuova hanno tentato un’irruzione nella sede nazionale a Roma.

Un altro filone particolarmente proficuo è stato quello legato alla presunta congiura del silenzio sul caso, racchiuso nel meme-tormentone «Parlateci di Bibbiano». Inizialmente coniato da CasaPound, lo slogan è stato adottato da politici di destra, giornalisti televisivi e personalità dello spettacolo. Dai suoi profili social, ad esempio, Matteo Salvini tuonava: «chi tace su Bibbiano è complice!». In un altro post si diceva addirittura «disposto a dare la vita, se è necessario» pur di «riportare a casa i bambini strappati alle famiglie».

In uno dei momenti più surreali dell’intera vicenda, il cantante Nek ha pubblicato su Facebook la foto di uno striscione di CasaPound con questa didascalia: «È inconcepibile che non si parli di #bibbiano. Ci sono intere famiglie distrutte, vite di bambini di padri e di madri rovinate per sempre… e non se ne parla. Ci vuole giustizia!». L’insistenza sulla censura dei media – che non c’è mai stata; anzi, l’inchiesta ha avuto amplissima copertura – si è sposata alla perfezione con la narrazione dei gruppi ultracattolici.

Siccome una bambina era stata affidata a una coppia Lgbtqia+ Bibbiano è diventata la prova del «complotto gender» per scardinare la famiglia tradizionale. Di ciò era convinto anche il deputato FdI Galeazzo Bignami. «Nessuno mi toglie dalla testa che dietro a tutto questo ci sia la teoria gender – aveva commentato – vogliono i bambini senza famiglie, senza identità, come corpi eterei». Il suo partito aveva presentato un’interpellanza al consiglio regionale emiliano chiedendo di qualificare i genitori affidatari in base all’orientamento sessuale: in pratica pretendeva la schedatura delle famiglie arcobaleno.

La stessa Giorgia Meloni si è recata più volte in pellegrinaggio a Bibbiano. In una breve diretta Facebook, del 18 gennaio del 2020 ha in mano un cartello con la scritta: «Siamo stati i primi ad arrivare. Saremo gli ultimi ad andarcene!». La leader di FdI invocava una «giustizia rapida» e «pene esemplari» per gli «orchi». A riprova dell’importanza a livello d’immaginario, Bibbiano ha fatto capolino anche nel discorso d’insediamento alla Camera. La presidente del consiglio ha ribadito «l’impegno a limitare l’eccesso di discrezionalità nella giustizia minorile» affinché «non ci siano mai più casi Bibbiano».

L’assoluzione di Foti non ha invece generato alcuna reazione né da parte di Meloni, né da chi ripeteva ossessivamente di «parlare di Bibbiano». Dopotutto, perché dovrebbero farlo? Per loro non c’è nulla da aggiungere: Bibbiano ha esaurito la sua funzione propagandistica. È un simbolo, che in quanto tale non sarà scalfito da una sentenza.