Parlano i delegati dissidenti dei Democratici: «Le primarie sono da ripensare»
Stati uniti «Sistema corrotto da cui prendiamo le distanze»
Stati uniti «Sistema corrotto da cui prendiamo le distanze»
Il conteggio ufficiale dei voti ha creato il momento di maggiore tensione e scompiglio di questa convention, fino ad ora.
I delegati coinvolti appartengono un po’ a tutti gli stati, California, Wyoming, Utah, Georgia, North Carolina, Oregon, senza prevalenze numericamente significative.
Come mai siete qui a manifestare?
Chiedo a Michael Willson, delegato della California: «Siamo qua per puntare il dito e mostrare come il partito democratico, in realtà, di democratico abbia davvero ben poco; noi non siamo stati ascoltati, non ci hanno mai interpellati e quando abbiamo cercato di farci sentire siamo stati ignorati. Quando siamo arrivati qui la convention era “già cosa fatta”. Sembra un processo democratico, questo qua?».
Ma perché Hillary Clinton non dovrebbe ottenere la nomina, dopo aver vinto il voto popolare e i super delegati?
«Tutto il processo stesso dello svolgimento delle primarie che porta alla nomina è ancora oggetto di discussione. Ci sono stati molti problemi di voto durante le primarie. È discutibile un risultato democratico ottenuto tramite un processo che, proprio in se, non lo si può definire democratico».
E cosa avreste voluto ottenere?
«Essere ascoltati sarebbe stato un buon punto di partenza. Siamo d’accordo sul votare Hillary Clinton? No. Ci sembra che il processo per arrivare alla sua nomination sia Stato lineare? No. E di questo non se ne parla?
Allora abbiamo un problema. Per questo siamo usciti, per segnalare che c’è un grosso problema».
Quali sono, al di là del processo stesso delle primarie, le differenze incolmabili che vi portano a non voler appoggiare Hillary Clinton?
«La sua posizione sul Ttpp, ad esempio. Questa è una posizione inconciliabile, siamo diametralmente opposti e non possono esserci punti di mediazione e non è un tema minore o trascurabile. Il processo di finanziamento della campagna elettorale che si basa sulle grandi donazioni dei grandi gruppi, con i problemi di libertà politica che ne conseguono. È un sistema corrotto con cui non vogliamo avere a che fare».
Ma perché la polizia è venuta qua a circondare la sala stampa dove siete entrati?
«Non lo so, non ne ho idea. Forse pensano che siamo pericolosi e vogliamo innescare un confronto fisico, o forse il partito non è abituato ad ascoltare il dissenso e reagisce cosí».
Intanto, mentre i delegati scandiscono slogan come «questo è ciò a cui somiglia una democrazia», lo scontento accomuna politici di ogni tipo di esperienza. Willson è al suo primo mandato, ma anche Majid Al-Bahadli, 49 enne, che sta servendo il suo terzo mandato come delegato dello stato di Washington, condivide lo stesso parere.
Da quanto tempo serpeggia questo scontento?
«Le tensioni erano nell’aria da martedì; Bernie Sanders acceso un fuoco nei nostri cuori, ci ha parlato di rivoluzione, di un modo nuovo di fare politicaper raggiungere risultati inusitati per l’America, questo processo è stato innescato, non si può semplicemente spegnere la luce, non si può nemmeno se si dispone di solo una piccola brace, quali siamo noi, che siamo usciti per manifestare»
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