«Si avvia a diventare la presidente del Consiglio italiana più a destra dai tempi di Mussolini». «Cercherà di formare il governo più a destra dalla seconda guerra mondiale». Mezz’ora dopo i primi exit poll, i siti della Cnn e della Bbc già danno la sveglia al mondo mentre qui da noi il risultato elettorale di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia si consolida a ogni aggiornamento.

La vittoria è piena. Svanisce quasi subito quella che per il centrodestra era l’unica paura e per il centrosinistra l’ultima speranza: non ci saranno incertezze in parlamento. Meloni potrà contare sulla maggioranza assoluta sia alla camera che al senato. Le prime stime sono tutte da verificare nella giornata di oggi ma sono già concordi nell’assegnare al centrodestra più di 110 seggi al senato e più di 230 alla camera. A un passo anche dalla maggioranza dei tre quindi dei senatori e dei deputati, quorum sufficiente per fare da soli nomine importanti (Csm, Corte costituzionale). Una doppia maggioranza tranquilla nei due rami del parlamento abbatte ogni possibile ostacolo sulla strada di Meloni verso palazzo Chigi. Il risultato sotto le aspettative della lista centrista fuori dalle coalizioni di Calenda e Renzi non consente fantasie: il centrodestra non avrà bisogno di cercare altri voti in parlamento. Se ci saranno, e non si può escludere, saranno solo voti di appoggio non indispensabili.

Un dato è subito evidente. La distanza tra le due coalizioni è abissale. Sempre al di sopra dei 15 punti percentuali. La legge elettorale fa il resto. Con un margine del genere il centrosinistra riesce a vincere pochissime sfide uninominali. Una decina tra senato e camera. E con il risultato dei collegi maggioritari, di fatto un premio di maggioranza, il centrodestra amplifica la sua vittoria. L’ottimo risultato del Movimento 5 Stelle non è comunque sufficiente a rendere il partito di Conte competitivo in un consistente numero di collegi dove il primo prende tutta la posta. Non in tutto il Mezzogiorno, dove la lista è sempre stata più forte e lo era anche secondo tutti i sondaggi della vigilia. Molto probabilmente a causa dell’astensione che proprio al sud, e specialmente nella roccaforte campana del Movimento, è stata particolarmente alta. Dai primissimi dati di scrutinio i 5 Stelle sembrano essere riusciti comunque a segnare qualche exploit locale in grado da condurli alla vittoria in qualche collegio uninominale, strappandolo al centrodestra.

Ma al livello nazionale risalta la vittoria di Meloni, assai più che del centrodestra. Fratelli d’Italia da sola vale circa dieci punti percentuali più della somma dei suoi alleati. È un terremoto che rende difficili i confronti con i precedenti. Il risultato della ultime politiche, cinque anni fa, è ormai quello di un’altra era politica. Fratelli d’Italia aveva allora solo il 4,35% dei voti, il che significa che in cinque anni ha moltiplicato il consenso almeno per cinque, superando (ma lo sapremo oggi con certezza) i sette milioni di voti. La Lega dimezza invece il consenso rispetto al 2018 e lo riduce addirittura a un quarto rispetto a quello delle europee del 2019.

Secondo tutte le proiezioni il Pd resta sotto la soglia del 20%. Le prime notizie dai collegi sono pessime. Nel collegio senatoriale di Cremona, Carlo Cottarelli che Letta aveva presentato come la punta di lancia del partito al nord è stato sconfitto da Daniela Santanché (anche se può sperare nel paracadute del proporzionale). Nel seggio senatoriale di Livorno l’ex capogruppo del Pd Marcucci è sconfitto dal leghista Potenti. Il Pd verso la sconfitta al senato anche a Prato e ad Arezzo. In regione il centrosinistra tiene solo il collegio senatoriale di Firenze grazie alla candidata si Sinistra/Verdi Ilaria Cucchi. Nei primissimi scrutini il centrosinistra è in svantaggio in tutti i collegi senatoriali dell’Emilia Romagna, persino in quello di Bologna dove però una vittoria di Sgarbi su Casini appare quasi impossibile.

Fallimento nel fallimento, il ministro degli esteri Di Maio viene sconfitto per il centrosinistra nel collegio tradizionalmente sicuro di Fuorigrotta a Napoli. È questo uno dei seggi che si aggiudica il Movimento 5 Stelle con l’ex ministro dell’ambiente del governo gialloverde Sergio Costa (che supera anche Mara Carfagna candidata della lista di Calenda e Maria Rosaria Rossi del centrodestra). E così Di Maio resta fuori dal parlamento, perché la sua lista, Impegno civico, non solo non raggiunge la soglia di sbarramento del 3% ma resta anche sotto l’1% che avrebbe consentito almeno di dare un contributo di voti alla coalizione. È il sigillo definitivo alla sua fallimentare scissione dal Movimento 5 Stelle. Quella scissione che ha dato la spinta decisiva alla crisi del governo Draghi, alla rottura tra 5 Stelle e Pd e in definitiva alla sconfitta storica di ieri sera.