Oltre 30mila partecipanti. La 21esima parata dell’Orgoglio e della Tolleranza a Gerusalemme è stata la più ampia di sempre. E la più importante dal punto di vista politico. Perché il tradizionale giorno di festa e di sostegno ai diritti della comunità Lgbtq+ è stato per certi versi il naturale proseguimento delle proteste di massa in corso da mesi contro la maggioranza di estrema destra religiosa che governa Israele e che include omofobi dichiarati. Il corteo colorato è partito dal Liberty Bell Park. Tra i manifestanti anche il leader dell’opposizione Yair Lapid. La marcia ha attraversato il centro della zona ovest di Gerusalemme fino all’Independence Park dove hanno parlato il giudice della Corte Suprema in pensione Ayala Procaccia, gli attivisti Reuven Abergil ed Efrat Tilma e Mindy Levine, una madre divenuta nota per la sua battaglia a sostegno dei diritti del figlio transgender.

«È la marcia più importante di sempre. Siamo uniti contro le minacce, l’incitamento e l’odio», ripeteva ieri ai giornalisti Hila Peer, presidente di Aguda, la task force Lgbtq+. «Non c’è orgoglio senza democrazia e questa è la risposta all’omofobia che viene dal governo e sconfiggerà qualsiasi ministro che compia provocazioni a nostre spese», ha aggiunto Peer. E minacce ne sono arrivate prima del Pride da parte del gruppo razzista e neofascista «Lehava» («Fiamma») che ha definito la manifestazione gay «la Parata dell’abominio». Nel 2015 un ebreo religioso, Yishai Schlissel, pugnalò a morte una ragazza di 16 anni, Shira Banki.

La polizia ha arrestato tre persone per dichiarazioni estremiste contro i gay. Ma non è intervenuta contro i gruppetti di provocatori di estrema destra che hanno fatto la loro apparizione in vari punti della città. Invece a piazza Parigi i poliziotti hanno caricato decine di persone che chiedevano diritti per tutti, inclusi i palestinesi sotto occupazione militare. «Abbiamo esposto una bandiera palestinese e in un attimo ci siamo ritrovati circondati da decine di agenti» ha raccontato al manifesto Oneg Ben Dror, attivista di Free Jerusalem. «Ogni anno prendiamo parte al Pride per dire che vanno garantiti i diritti di tutti gli oppressi». Un argomento che evidentemente poco interessa alla polizia che ha usato le maniere forti per allontanare gli attivisti e impadronirsi della bandiera palestinese, nel pieno rispetto delle disposizioni date da Itamar Ben Gvir, ministro della Sicurezza e tra i principali esponenti della destra più estremista.

Non è passato inosservato che a supervisionare la Pride Parade ci fosse ieri proprio Ben Gvir che non ha mai nascosto la sua avversione verso la comunità Lgbtq+. Tra i suoi storici alleati ci sono proprio i leader di «Lehava», senza dimenticare che alle ultime elezioni ha unito il suo partito, Potere ebraico, a Sionismo religioso del ministro delle finanze Bezalel Smotrich che esprime con orgoglio le sue simpatie per il fascismo e si proclama omofobo. Ma il vero protagonista in negativo è stato il deputato del Likud Nissim Vaturi. In un’intervista ha sostenuto che «le élite culturali» promuovono «l’ideologia Lgbt» e che ai giovani gay viene fatto il «lavaggio del cervello». «Ci sono genitori che incoraggiano i loro figli a essere Lgbt. Danno la bambola al figlio perché a loro sembra gay», ha affermato sollevando un polverone.

Il premier Netanyahu, dopo la formazione del suo governo, ha cercato di rassicurare la comunità Lgbtq+. Ma del suo esecutivo fa parte Avi Maoz, presidente del partito omofobo Noam e capo della cosiddetta Autorità per l’Identità Ebraica con 285 milioni di shekel (75 milioni di euro) di budget. Maoz è anche supervisore dei programmi scolastici. Certo è che la formazione del governo Netanyahu e la svolta di destra e religiosa in politica e nella società fa vacillare l’immagine di paese gay-friendly che Israele vuole dare nel mondo, in particolare della città di Tel Aviv. La realtà è ben più complessa e le pulsioni anti-Lgbtq+ aumentano, mentre attivisti di sinistra ebrei e palestinesi accusano Israele di «pinkwashing» ovvero di promuovere i diritti dei gay come prova di liberalismo e tolleranza per legittimare la violenza contro altri paesi e i palestinesi.