Il requisito di residenza in Italia da almeno dieci anni, di cui gli ultimi due consecutivi, previsto dal sussidio impropriamente detto «reddito di cittadinanza» è incostituzionale e iniquo perché esclude le persone straniere regolarmente presenti in Italia; i senza dimora, a prescindere dal fatto che siano o meno cittadini italiani; i possibili immigrati italiani residenti all’estero e di ritorno in Italia. Senza contare che le risorse stanziate risultano, ad un’analisi più dettagliata, incapaci di coprire l’intera platea dei poveri assoluti (4,9 milioni per il governo Lega-Cinque Stelle; tra i 2,4 e i 2,7 milioni per Inps e Istat) che hanno un reddito Isee inferiore ai 9.360 euro. Avendo mantenuto il tetto massimale di 780 euro, determinato sulla base del 60% de reddito mediano netto italiano da cui detrarre la differenza del valore del patrimonio e dei redditi a disposizione dei richiedenti, il sussidio rischia di penalizzare i nuclei familiari numerosi, i soggetti più colpiti dalla povertà in nome dei quali il governo sostiene di avere istituito questa misura. Secondo Giuseppe Pisauro, presidente dell’ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ascoltato ieri dalla commissione bilancio del Senato, la «scala di equivalenza»prevista è concepita male: «Se il beneficio per un single è di 3.423 euro, per una famiglia con più di 4 componenti scende a 1864 euro a persona». Sviluppando la logica del workfare, l’Upb dubita della credibilità dei meccanismi coercitivi ipotizzati dal governo: «Se non fossero stringenti il rischio sarebbe un aumento della spesa per 2 miliardi». «L’Upb ha fornito valutazioni che vanno oltre il suo mandato. E su questo bisogna riflettere» ha replicato Daniele Pesco (M5S), presidente della Commissione bilancio del Senato.

ALLA LESIONE dei diritti costituzionali delle persone residenti in Italia, e alla violazione di precise normative europee, si aggiungerà il danno economico. Il rischio della revisione dell’impianto del decreto costringerà a modificare anche l’attuale previsione finanziaria stabilita dalla legge di bilancio, generando ricorsi di ogni tipo. Senza contare che non avendo, al momento, l’Inps la possibilità di controllare il patrimonio mobiliare di queste persone, il rischio è che sarà costretto a chiedere la restituzione di cifre fino a 10 mila euro, dopo averli riconosciuti, ad almeno 100 mila nuclei (la stima è di Tito Boeri, presidente dell’Inps).

UN PROVVEDIMENTO di contrasto alla povertà, basato sullo scambio tra sussidio pubblico e obbligo al lavoro (8 ore gratuite a settimana, tra l’altro), genererà esclusioni e diseguaglianze. Un paradosso denunciato ieri, nel corso delle audizioni in commissione lavoro al Senato, dai sindacati Cgil, Cisl e Uil e dalla Caritas. A questo impressionante elenco di ingiustizie, e fondate anomalie , contenute in un sistema «ibrido e non efficace» che mescola «una molteplicità eccessiva di obiettivi» come sostegno al reddito, lotta contro la povertà e sgravi alle imprese, i sindacati hanno evidenziato altri problemi. Il primo riguarda i «navigator», 4 mila nuovi precari assunti dall’Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro (Anpal) con un contratto «co.co.co.» per i due anni. Al netto dei problemi «costituzionali» ipotizzati dalle Regioni (svolgerebbero le stesse mansioni dei dipendenti dei centri per l’impiego), Cgil, Cisl e Uil hanno denunciato il rischio di una «guerra tra poveri» con gli attuali 654 precari dell’Anpal che dovrebbero anche formarli a un lavoro molto complesso. Il decreto rischia inoltre di produrre un «effetto spiazzamento» degli utenti dei centri per l’impiego non beneficiari del «reddito». La terza è la sospensione per tre anni dell’assegno di ricollocazione per i disoccupati ordinari. Sono argomenti che confluiranno nella manifestazione contro la manovra e il blocco della rivalutazione delle pensioni organizzata dai sindacati a Roma sabato prossimo. La Caritas prevede la possibilità di una «marginalizzazione del ruolo delle Regioni e degli enti locali», oltre che «dei soggetti sociali e il volontariato» che ritiene «fondamentali nella costruzione di una rete di supporto alle condizioni di vulnerabilità» Nella sua memoria la Caritas ha proposto di «migliorare la capacità di rispondere alla multidimensionalità della povertà».

LE PRIME REAZIONI a queste osservazioni sul merito sono state improntate al nervosismo e a un sentimento di lesa maestà. I Cinque Stelle insistono sullo spartito: chi critica la misura-bandiera è in pratica un «nemico del popolo». «Parole convulse e isteriche» ha detto il sottosegretario all’editoria Vito Crimi (M5S) che ha accusato i sindacati di essere rimasti «in silenzio» «mentre si svendevano i diritti di tutti». E ha espresso una visione neocorporativa: «Con noi al governo, l’unico sindacato in grado di tutelare sia i lavoratori che i senza lavoro è lo Stato».