Pakistan sott’acqua. Quasi 2.000 morti, milioni di sfollati
Asia Le alluvioni monsoniche hanno sommerso un terzo del Paese, impreparato al disastro
Asia Le alluvioni monsoniche hanno sommerso un terzo del Paese, impreparato al disastro
I numeri dell’alluvione monsonica che sta devastando un terzo della superficie del Pakistan sono impressionanti e in crescita. Il bilancio delle vittime delle devastanti inondazioni è salito a 1.191 ieri dopo che le acque provenienti dal Nord del Paese, isolando aree nella zona della valle di Swat dove hanno distrutto ponti, hanno iniziato a sfondare gli argini e hanno colpito più di un milione di persone in un solo distretto del Sindh.
SECONDO il rapporto quotidiano della National Disaster Management Authority – citata dal quotidiano Dawn – dal 14 giugno oltre 3.500 persone sono state vittime di incidenti non mortali ma ieri, solo nelle ultime 24 ore, 87 persone risultavano ferite e 27 uccise. Colpite anche almeno 650mila donne incinte, di cui 73mila dovrebbero partorire il mese prossimo e che, avverte l’Unfpa (agenzia Onu per la salute riproduttiva), hanno disperato bisogno di assistenza sanitaria.
Emergenza nazionale, già decretata alcuni giorni fa dopo che il 25 agosto le stima dei morti era già arrivata a quota 900, e che vede allargarsi gli effetti del monsone un po’ ovunque: anche nel sudovest, nella regione di Quetta, dove il crollo dei ponti ha isolato diverse comunità.
NON È SOLO un’emergenza stagionale ma una delle peggiori della storia recente del Pakistan che già nel 2010 aveva pagato un caro prezzo per un’alluvione che aveva colpito venti milioni di persone (tra le 29 super alluvioni che il Pakistan ha registrato dalla sua nascita nel 1947). Quest’anno la marea di acqua dolce ha ingrossato i fiumi e poi ha rotto gli argini: è andata avanti lentamente ma con forza e non si sta fermando. È un Paese soggetto a disastri per cause naturali (nel 2005 un terremoto uccise almeno 80mila persone ma con un impatto su oltre tre milioni e mezzo di pachistani), cui si sommano le ragioni di uno sviluppo ineguale, una gran massa di sfollati interni (per cause climatiche, economiche o per la guerra nelle aree tribali a ridosso dell’Afghanistan) e ondate di maltempo fin troppo prevedibili ma troppo spesso gestite solo in emergenza e raramente in modo preventivo.
LE 28 ALLUVIONI precedenti, citate dalla Flood Commission nazionale, hanno sommerso in totale oltre 600mila kmq dal 1950 al 2020, un’area grande due volte l’Italia: i villaggi colpiti sono stati quasi 200mila e le vite perdute sopra quota 13.200. I danni materiali stimabili in quasi 40 miliardi di dollari. Il rapporto 2020 della Commissione elenca i rischi, i danni e i disagi causati all’aumento della popolazione durante eventi piovosi forti «attribuiti al cambiamento climatico» e consiglia la riabilitazione/riqualificazione dei «sistemi di drenaggio di grandi dimensioni» che servono le città ma senza dimenticare «la gestione dei torrenti collinari». Priorità, dice il rapporto. Ma – come spesso accade anche altrove – son priorità che danno luogo ad allarmi inascoltati sulle colpe del dissesto idrogeologico imputabili all’uomo.
IN QUESTO QUADRO sono ricorrenti le polemiche sui ritardi negli aiuti, sull’impreparazione o sulle politiche abitative: almeno 50mila persone che hanno visto la propria casa distrutta hanno cercato rifugio nei grandi centri urbani per via di case costruite troppo spesso con mezzi di fortuna e al risparmio e non in grado di opporsi alla furia delle acqua. C’è una media di 3-4mila persone, scrive la stampa locale, che cercano rifugio nelle gradi città. Aumenteranno: solo nel distretto di Dadu (Provincia del Sindh) gli sfollati sarebbero già oltre il milione. E se molti cercano rifugio da parenti e campi di raccolta, per altri diventa inevitabile cercare riparo a Karachi, il grande porto e capitale provinciale che è anche la città più popolosa del Paese con 15 milioni di abitanti.
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