Imran Khan l’ha scampata per un soffio. Uno o più uomini armati hanno cercato di uccidere l’ex premier pachistano durante la «lunga marcia» che ha per meta Islamabad l’11 novembre per chiedere elezioni anticipate. Il “leone del Pakhtunkhwa”, la provincia occidentale dove il suo partito è più forte e da cui ha scalato la gerarchia del potere pachistano, è stato ferito a una gamba e se la caverà. Anzi, non meno di un Garibaldi orientale, Imran diverrà probabilmente solo più popolare in un Paese spaccato e dove l’ex premier, sfiduciato questa primavera e poi sospeso come deputato, gode di un sostegno popolare vastissimo. Come dicono i numeri della sua marcia sulla capitale.

DELL’UOMO – o del commando – che ha tentato di ucciderlo ieri sera e che ha ferito almeno altre sei persone tra cui dirigenti del suo partito, il Pakistan Tehreek-e-Insaf, per ora si sa poco e non è giunta nessuna rivendicazione. In serata la polizia del Punjab ha emesso un primo bilancio di sette feriti e un morto in seguito all’attacco.

La dinamica dell’attentato avvenuto a Wazirabad – città che si trova sulla direttrice della marcia tra Lahore e Islamabad – è ancora poco chiara ma una selva di proiettili ha investito il mezzo su cui Imran e altri viaggiavano. Per ora in manette c’è un solo sospetto catturato dalla polizia che ha affermato di aver voluto uccidere il presidente del Pti perché «stava fuorviando la gente». «Non potevo sopportare di guardarlo – dice in un video che girava ieri su Twitter – quindi l’ho ucciso … ho tentato di ucciderlo… Ho fatto del mio meglio per ucciderlo. Volevo uccidere solo Imran Khan e nessun altro». È un tipo smilzo che non avrà quarant’anni e che dice di aver fatto tutto da solo. L’ipotesi di un commando di più persone giustificherebbe però la selva di colpi. E sulla probabilità che l’arrestato sia il vero colpevole aleggia qualche dubbio visto che, stando al Pti, inizialmente la polizia aveva fermato una guardia del corpo di Imran scambiandola per l’assassino.

IL GOVERNO ha intanto deciso di formare un team investigativo per indagare l’accaduto che si è nel frattempo trasformato in una nuova occasione di pressione sull’esecutivo: da Peshawar a Karachi, da Quetta a Islamabad la gente è scesa nelle strade circondando gli edifici delle istituzioni o, come a Rawalpindi, la residenza del ministro dell’Interno Rana Sanaullah.

Il clima dunque si fa ancor più infuocato di quanto già non fosse quando Imran Khan ha deciso il 26 ottobre che il venerdì successivo sarebbe partita un’ennesima marcia sulla capitale (non è la prima) per chiedere elezioni anticipate: partenza da Lahore il 28 e arrivo a Islamabad l’11 novembre, sempre che adesso l’agenda venga rispettata. Il governo, che ha subito condannato l’episodio (e così i capi dei partiti che hanno sempre osteggiato Khan), ora vorrebbe approfittare dell’attentato per negoziare con il Pti ed evitare che la marcia si ingrossi ancora di più. Quanto al Pti, alcuni suoi esponenti non hanno nascosto qualche tesi complottista, alludendo ad alcuni sospetti che lo stesso Khan avrebbe confidato ai suoi prima di entrare in ospedale per farsi levare proiettile e schegge, anche se appare fin troppo chiaro che l’ultima cosa nella testa dei contrari a Khan nel governo sia quella di farne un martire più di quanto già non sia.

LE PROTESTE dei sui sostenitori vanno avanti da quando, in aprile, il Parlamento lo ha sfiduciato e sono riprese con forza dopo che in ottobre la Commissione elettorale del Pakistan (Ecp) lo ha dichiarato colpevole di aver venduto illegalmente regali di Stato, rimuovendolo così anche dal suo seggio parlamentare e mettendo a rischio una sua futura candidatura all’Assemblea.

LA REAZIONE alla sentenza dell’Ecp per false dichiarazioni e appropriazione di beni statali per 650 euro aveva già visto scendere in piazza migliaia di suoi sostenitori accompagnati dai primi incidenti. Poi Imran aveva chiesto alla piazza di calmarsi in attesa di una grande «marcia», annunciata pochi giorni dopo. Tutto ciò mentre il presidente del Pti non solo gode di un’ampia popolarità ma il suo partito ha continuato a vincere in una serie di elezioni suppletive. Persino in Punjab, roccaforte dei suoi avversari, primo fra tutti il premier e capo della Lega musulmana Shehbaz Sharif.