Pacco, contropacco e spacchettamento
Riforme «No a un testo à la carte». Renzi chiude il balletto sulla divisione del quesito costituzionale: «Si vota il 6 novembre. «Io non ho paura».Corsa contro il tempo per la raccolta delle firme. No di dem e opposizioni. I radicali: «Pd schizofrenico, fa fallire la possibilità di evitare il plebiscito». Intanto oggi a Roma l’Italicum davanti al Tribunale.
Riforme «No a un testo à la carte». Renzi chiude il balletto sulla divisione del quesito costituzionale: «Si vota il 6 novembre. «Io non ho paura».Corsa contro il tempo per la raccolta delle firme. No di dem e opposizioni. I radicali: «Pd schizofrenico, fa fallire la possibilità di evitare il plebiscito». Intanto oggi a Roma l’Italicum davanti al Tribunale.
Si spacchetta o non si spacchetta? A Natale si spacchetta», «A mio giudizio lo spacchettamento non sta in piedi». Matteo Renzi mette fine al sorprendente serial di questi torridi giorni di luglio, quello sull’eventualità di dividere in più quesiti il «quizzone» della riforma costituzionale. Da mesi i Radicali italiani hanno avanzato la proposta; alcuni prestigiosi costituzionalisti l’hanno condivisa; altri altrettanto autorevoli l’hanno bocciata senza appello. Ma negli ultimi giorni il burocratico pentasillabo aveva magicamente cominciato a fluttuare sulle pagine dei quotidiani. Anche dopo un pensoso parere del giudice costituzionale Giuliano Amato: intervistato sul punto da Radio Radicale aveva spiegato che un eventuale ricorso in Cassazione avrebbe creato un caso inedito con un effetto collaterale interessante (e en passant molto utile a Renzi): «I tempi si allungherebbero, determinando un ulteriore slittamento».
Di qui erano partite le allegre variazioni dei quotidiani sullo «spacchettamento», autorizzate se non incitate da una non ostilità di Palazzo Chigi lasciata scivolare in conferenza stampa a Varsavia dallo stesso Renzi («Non dipende da noi»).
Ieri però il presidente del consiglio ha posto fine alle danze e messo una pietra tombale su tutta la storia. Al Corriere.it ha spiegato di «non aver paura del voto», di non vedere l’ora di affrontare in campagna elettorale «chi ha preso 59 clic» e ma in ogni caso «non ci sarà nessun referendum à la carte». Poco prima anche i capigruppo del Pd di senato e camera, Luigi Zanda ed Ettore Rosato, avevano chiarito che non avrebbero raccolto le firme per il ricorso in cassazione, dando un segnale netto nel caso qualche onorevole democratico si facesse prendere la mano dall’entusiasmo per la novità. A stretto giro la minoranza Pd, anch’essa possibilista sulla proposta, ha fatto sapere di non essere disponibile a firmare. Contrarie anche le opposizioni, da Sinistra italiana ai 5 stelle a Forza italia.
I Radicali italiani vanno avanti. Ieri hanno incontrato la ministra delle riforme Maria Elena Boschi – erano presenti il segretario Magi e l’ex segretario Staderini e il professore Fulco Lanchester – e si sono persuasi della neutralità del governo. Subito smentita dalla sportellata dei capigruppo Pd: «Assolutamente no», li ha gelati dall’Huffington Post Luigi Zanda, «con più quesiti potrebbe raggiungersi un esito bizzarro. Ad esempio, se dividi la riforma in più parti può succedere che venga approvato il nuovo senato e bocciata la possibilità che a dare la fiducia sia una sola camera».
Per la raccolta delle firme restano poche speranze. Entro venerdì il 15 luglio il ricorso dei parlamentari dovrebbe essere depositato in Cassazione. Servono 64 senatori o 126 deputati. Entro domani cosa deciderà Area popolare che però al senato ha ben altri problemi: è convocata per domani la resa dei conti dei centristi contro Angelino Alfano, per di più nello stesso giorno del voto sul ddl enti locali per il quale serve la maggioranza assoluta.
Ma Renzi non può essere sospettato di voler rimandare il voto per paura di perdere. Quindi di fatto, finisce il film dello «spacchettamento». E a Torre Argentina hanno capito che finisce male: «Sarebbe schizofrenico da parte del Pd dichiarare prima di non volere il plebiscito e poi far fallire l’unica soluzione in campo in grado di evitare il plebiscito», attacca Magi, «dice bene Renzi: la Costituzione ha delle regole, ma la prima di queste è la sovranità popolare e la garanzia della libertà di voto che il quesitone vìola. Il vero “pacco” è quello che Renzi rischia di rifilare agli italiani e a se stesso».
A occhio presto finirà anche la seconda telenovela estiva, quella della data del referendum. Renzi sul Corriere.it chiude il minuetto del «non decido io ma la Cassazione» e indica una data, visto che il governo ha una discrezionalità – da 50 a 70 giorni dal via libera della Cassazione – per scegliere il giorno del giudizio. «Ragionevolmente sarà a ottobre», spiega, «e visto che il 30 ottobre lo escludiamo perché c’è il ponte, allora potrà essere a naso il 6 novembre».
Durerà ancora a lungo invece la saga della promessa modifica dell’Italicum. Renzi invita il parlamento a trovare i numeri («Si accomodino»). Ma intanto c’è il pellegrinaggio del testo di fronte ai giudici: per oggi è fissata la prima udienza al tribunale di Roma che sarà chiamato a pronunciarsi sulle questioni di incostituzionalità sollevate dagli avvocati Felice Besostri, Anna Falcone e Arturo Salerni. Analoghi ricorsi sono stati presentati in altri 19 tribunali e, dicono gli avvocati «sono già state accolte dal Tribunale di Messina e, recentemente, dal Tribunale di Torino, e rimesse alla Corte Costituzionale». Parterre de roi di costituzionalisti e politici all’udienza, dunque. La Consulta ha già fissato per il 4 ottobre l’udienza per le questioni di incostituzionalità e, dicono, «a meno di rinnegare i principi della sentenza del 2014 contro il Porcellum, il destino dell’Italicum, così com’è, è segnato».
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