A Mahane Yehuda, il mercato popolare di Gerusalemme ovest, storica roccaforte della destra israeliana, Benyamin (Bibi) Netanyahu è sempre il «re». Ma non tutti i suoi sostenitori approvano la riforma del sistema giudiziario scritta dal ministro della giustizia Yariv Levin volta prima di tutto a limitare i poteri della Corte suprema. «Sono felice che Bibi sia di nuovo alla guida di Israele ma non sono sicuro che stia facendo la scelta corretta sulla giustizia» ci dice Yoni mentre sfiletta del pesce. «Non mi intendo di queste cose ma i giudici devono essere indipendenti per mandare in prigione i corrotti, che sono tanti in questo paese» aggiunge. Un cliente approva con un cenno della testa. Altri dicono che i «giudici sono quasi sempre di sinistra» e che questo non va bene. Altri ancora criticano Netanyahu per aver nominato ministro Aryeh Deri, il leader del partito religioso ortodosso Shas condannato per evasione fiscale. «Non avrebbe dovuto farlo, quell’uomo ha violato le legge, i giudici (della Corte suprema) hanno fatto bene a mandarlo a casa» spiega una signora carica di buste della spesa.

A due-tre chilometri da Mahane Yehuda circa 80mila israeliani, giunti da ogni parte del paese, sono radunati davanti alla Knesset con bandiere e striscioni per protestare contro l’approvazione dell’emendamento alla legge che stabilisce la composizione del collegio che elegge i giudici della Corte suprema. Passerà ora in prima lettura al plenum della Knesset. Approvato anche l’emendamento che vieta alla Corte suprema di squalificare le Leggi Fondamentali e oggi, sempre in commissione, saranno discussi gli emendamenti per limitare la capacità dei massimi giudici di squalificare le leggi ordinarie votate dalla Knesset.

Il voto favorevole di ieri è figlio della maggioranza alla Knesset di cui gode la destra estrema religiosa andata al potere con il voto del primo novembre. Ed è avvenuto tra le furibonde reazioni dei deputati dell’opposizione. «Bushà, bushà» («vergogna, vergogna») hanno scandito i sette parlamentari dell’opposizione rivolgendosi ai nove colleghi della maggioranza dopo l’attacco al bilanciamento dei poteri. «Voto contro di te. Contro la distruzione della democrazia», ha urlato il deputato laburista Gilad Kariv al presidente della commissione Simcha Rothman (Sionismo religioso). «Smettetela di far precipitare il paese verso l’anarchia. Israele non vuole l’anarchia», ha reagito Netanyahu alle proteste in strada e in parlamento e le dichiarazioni del sindaco di Tel Aviv Ron Huldai secondo il quale «Le dittature diventano di nuovo democrazie solo attraverso un bagno di sangue». Per il Likud, il partito di Netanyahu, Huldai va processato perché «istiga alla violenza».

I commercianti di Mahane Yehuda e i loro clienti alle manifestazioni in difesa della Corte suprema non ci vanno. Sono di destra e restano con Bibi. Tuttavia, i dubbi sulla riforma che esprimono non pochi di loro, uniti a quelli di settori minoritari ma non marginali della destra meno radicale, sono, spiegano alcuni, tra i motivi dell’apertura fatta ieri dalla maggioranza al dialogo con l’opposizione. In una lettera inviata all’ex premier centrista Yair Lapid e al leader del partito di Unità Nazionale, Benny Ganzt, Yariv Levin e Simcha Rothman si sono detti pronti ad incontrarli nella residenza del presidente Isaac Herzog per «un dialogo senza precondizioni». Lapid l’ha rispedita al mittente.  La condizione «necessaria» per l’avvio di un dialogo, ha affermato, è «il fermo immediato di tutti i processi legislativi in corso (alla Knesset). Se Levin e Rothman concordano in questo senso potremo vederci dal presidente». Qualche ora prima, intervenendo alla manifestazione a Gerusalemme, l’ex premier aveva sottolineato che «non si può parlare di unità quando solo una parte detta le regole».

Ad esortare al dialogo e al compromesso era stato domenica sera Herzog, in diretta tv. «Siamo vicini a un collasso istituzionale e sociale» aveva esordito il presidente rivolgendo critiche al progetto di Netanyahu. Allo stesso tempo ha proposto cinque punti per arrivare a una riforma giudiziaria più contenuta. Quindi ha chiesto al governo di congelare il suo progetto. Richiesta respinta da Levin. Una chiusura al compromesso è giunta da Aryeh Deri, che pur essendo stato squalificato come ministro dalla Corte suprema continua ad essere una delle voci più importanti dell’esecutivo. «Non ci siano fraintendimenti – ha proclamato ieri – non torniamo sulle riforme».