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Ottana, amianto killer

Ottana, amianto killerL’ingresso di Ottana, sotto il blitz dei carabinieri del Noe nell'area industriale dell'ex Montefibre

Sardegna Terzo polo chimico della Sardegna, oggi il paese del Nuorese è un deserto pieno di fabbriche dismesse. E di ex operai Eni malati di cancro cui l’Inps non riconosce indennizzi

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 18 agosto 2017

A Ottana non è rimasto quasi più nulla. Terzo polo chimico della Sardegna dopo Sarroch e Porto Torre, oggi la piana che circonda il piccolo paese del Nuorese è un cimitero di fabbriche dismesse, ferraglia arrugginita. Le due aziende più grosse che ancora resistono sono Ottana Energia, una centrale elettrica, e Ottana Power, settore fotovoltaico. Entrambe sono di proprietà di Paolo Clivati, un imprenditore milanese. Una terza società di Clivati, Ottana Polimeri, che produceva pet per le bottiglie, ha chiuso i battenti una settimana fa: tutti i sessanta dipendenti, dopo anni di cassa integrazione, sono stati licenziati.

UN DISASTRO ANNUNCIATO, quello di Ottana, iniziato nel 1998, quando, dopo il disimpegno dell’Eni, per evitare collasso produttivo e licenziamenti fu firmato, tra Regione Sardegna e governo, un «Contratto d’area». Stabiliva, quell’intesa, che agli imprenditori che avessero voluto prendere il posto dell’Eni sarebbe stato elargito un finanziamento pubblico a fondo perduto di quasi duecento milioni di euro. Delle ventinove aziende che allora si gettarono sul malloppo, attualmente ne restano in funzione pochissime. Le più importanti sono quelle di Clivati. Per quasi tutti gli altri, è stato il classico «prendi i soldi e scappa».

L’Eni, arrivata a Ottana negli anni settanta, decise di sgomberare il campo alla fine dei novanta perché la chimica di base non garantiva più margini di profitto soddisfacenti: meglio puntare – questa fu la svolta – sulla produzione di energia. Gli impianti furono prima fatti a spezzatino e poi venduti a imprenditori spesso improbabili, attirati dai finanziamenti pubblici come mosche dal miele. Del periodo successivo al «Contratto d’area» oggi restano quasi solo macerie. Ma anche dell’età ormai remota in cui l’Eni a Ottana era il dominus assoluto rimane qualcosa: le malattie da esposizione ad amianto per le quali in tanti sono morti e in tantissimi cercano di ottenere indennizzi per il danno alla salute subito.

SECONDO I DATI raccolti dall’Associazione italiana esposti amianto (Aiea) e dalla Cgil sono ad oggi 121 i lavoratori dell’ex sito chimico morti per gravi patologie contratte negli ambienti saturi di amianto e di altri veleni. «Ma si stima che il numero dei decessi e dei malati – spiegano all’Aiea – sia superiore. Uno degli ultimi deceduti è stato Giovanni Maria Cinellu, strappato alla vita da sei tumori, acquisiti lavorando per trent’anni anni nel famigerato reparto At 5: dei trentacinque operai e tecnici che a quel posto erano stati assegnati, oltre la metà sono già morti fra i 50 e i 65 anni, mentre i superstiti sono quasi tutti gravemente malati».

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MA PER GLI EX OPERAI ENI è difficilissimo farsi riconoscere le previdenze previste dalla legge. Lo si capisce bene leggendo la relazione, resa nota pochi giorni fa, della commissione parlamentare d’inchiesta sulle malattie professionali. Che rivela come succeda una cosa strana a Ottana. Strana e inaccettabile. Mentre  infatti in altre zone d’Italia dove l’Eni ha o ha avuto stabilimenti chimici praticamente gemelli rispetto a quelli sardi, l’Inail (Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro) riconosce come fondate le domande degli ex operai che si sono ammalati d’amianto e dà il via libera agli indennizzi, in Sardegna le cose vanno in senso esattamente opposto. Un’intollerabile discriminazione nei confronti degli operai sardi che, dopo essersi presi un tumore da amianto, chiedono gli indennizzi. «Emerge dai rilievi compiuti – scrivono i parlamentari – che a fronte di 1.081 domande ben 1.066 sono state respinte. L’Inail ha infatti ritenuto che negli stabilimenti di Ottana ci sia stata sì presenza di amianto, ma che non esista la prova di un’esposizione qualificata, cioè superiore al limite previsto dalla legge per il riconoscimento delle speciali previdenze. Un dato generalizzato di rigetto delle istanze che muove da un’indagine dell’Inail datata 2003».  È da quattordici anni, quindi, che per gli operai malati di Ottana niente si muove.

MA PERCHÉ INVECE, si chiedono i membri della commissione, in altri contesti, fuori della Sardegna, del tutto simili a quelli di Ottana gli ex dipendenti Eni sono riusciti con molta più facilità a ottenere i risarcimenti? Un’anomalia evidente e ingiustificata, di fronte alla quale la commissione indica la necessità di coinvolgere l’Istituto superiore di sanità per acquisire subito dati attendibili, manifesta l’intenzione di sentire nelle prossime settimane il presidente dell’Inail perché dia conto dell’operato del suo istituto e, soprattutto, chiede al ministero del lavoro un atto di indirizzo politico che sblocchi, in tempi brevi, una situazione chiaramente discriminatoria.  La palla passa dunque al governo Gentiloni, che dopo la relazione della commissione non ha alibi.

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