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Ospedali, fognature, comunicazioni: l’intera Striscia di Gaza rischia il collasso

8 ottobre 2023, Gaza: l'area degli edifici distrutti dall'attacco aereo israeliano - Mohammed Talatene - APGaza, edifici distrutti dall'attacco aereo israeliano – Mohammed Talatene - AP

Israele / Palestina Per Khaled Abu Ghali, infermiere palestinese, quello che si sta consumando a Gaza è un crimine contro l’umanità

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 14 ottobre 2023

Khaled Abu Ghali è un infermiere palestinese, impiegato del Ministero della salute e volontario della Palestinian Red Crescent Society. Ha 59 anni e vive con la sua famiglia nella Città di Rafah, nel sud di Gaza, insieme alla moglie, tre figli e due figli. Se riusciranno ad arrivare, presto ospiterà anche una famiglia di amici che sta evacuando dal nord della Striscia.

Secondo Abu Ghali l’intera striscia è prossima al collasso, e il sistema sanitario non reggerà oltre le prossime 48h a causa del taglio dell’elettricità dovuto al blocco israeliano. Gli ospedali, che al momento stanno continuando a funzionare a basso voltaggio, si troveranno presto senza elettricità, con conseguenze devastanti non solo per gli oltre 6mila feriti, ma anche per i pazienti che necessitano di terapie salvavita, come gli oltre 1100 pazienti in dialisi per insufficienza renale, di cui 40 bambini. “Questo avrà ripercussioni molto gravi sulle persone che abbiamo in cura: stiamo parlando di pazienti in dialisi, neonati prematuri, pazienti in terapia intensiva che rischiano di morire perché molti degli ospedali saranno fuori servizio”.

Anche la corrispondenza di Abu Ghali, che in questi giorni si sta impegnando per far conoscere alla comunità internazionale quello che sta succedendo a Gaza, rischia di interrompersi presto: “Gli unici due sistemi di telecomunicazioni attualmente attivi rischiano di essere interrotti, quindi tutte le comunicazioni, incluso il wi-fi e la connessione internet, potrebbero interrompersi a breve”.

Il numero, già alto, di morti e feriti, potrebbe essere sottostimato. “A causa degli attacchi ripetuti in alcune aree, ci sono zone colpite dalle bombe che i mezzi di soccorso non stanno riuscendo a raggiungere, e la carenza di macchinari adeguati ostacola le operazioni di salvataggio e rimozione dei detriti. Qualsiasi conteggio al momento è sottostimato, ma il numero dei morti è così alto da aver messo in crisi anche la capienza dei frigoriferi mortuari”. E la mancanza di carburante potrebbe rendere impossibile l’attività dei mezzi di soccorso, come quelli della PRCs, che finora si sono mossi sotto la protezione della legge internazionale per prestare soccorso ai feriti. Una protezione che non è bastata ad impedire il bombardamento di alcuni mezzi, come racconta Abu Ghali, secondo cui anche una delle macchine mediche della PRCs è stata attaccata, risultando nella morte di 3 paramedici. Sono 20, secondo i dati riportati da Al-Jazeera, le ambulanze distrutte fino ad ora dai bombardamenti.

Ad aumentare i rischi sanitari e ambientali è anche il blocco dell’impianto di depurazione fognaria, che è stato spento a causa della mancanza di elettricità. “L’impianto di depurazione controlla lo scarico fognario in mare, questo significa che presto il mare sarà inquinato, con ripercussioni negative anche per Israele”. Le acque territoriali di Gaza infatti sono sempre state controllate da Israele, e i pescatori palestinesi possono accedere solo alle acque entro 41 km dalla costa.

Nel frattempo, Israele ha intimato agli oltre 1.1 milioni di abitanti dell’area nord di Gaza di evacuare verso il sud della Striscia. “Sono arrivate chiamate, messaggi, notizie su internet e anche volantini lanciati via aerea che intimavano di evacuare Gaza City e North Gaza. A Gaza il 70% della popolazione è composto da rifugiati, palestinesi che sono stati allontanati dai loro villaggi in seguito all’occupazione israeliana del 1948. Ora stiamo vivendo una situazione simile, e il sud di Gaza non ha le risorse per accogliere oltre un milione di evacuati. Molte persone stanno aprendo le loro case ad altre famiglie, ma mancano l’acqua e il cibo”.

Gaza era già una delle aree a più alta densità abitata al mondo, con 5mila abitanti per Km2 circa, e l’evacuazione di circa metà della popolazione nel sud della Striscia sarebbe stata impossibile anche se Gaza non fosse sotto assedio, senza accesso ad acqua, cibo, elettricità e carburante e con la minaccia costante delle bombe che continuano a colpire la Striscia.

Attualmente, non vi sono canali di evacuazione che permettano ai palestinesi di lasciare la Striscia di Gaza. Ma anche se ci fossero, Khaled Abu Ghali non se ne andrebbe. “Non lascerò la mia casa, non ho un posto dove andare. E anche se aprissero il confine non penso che me ne andrei. Ho quasi 60 anni, ho una moglie, tre figli e due figlie. Sono un membro di questa comunità, sono un palestinese, ho vissuto l’intero conflitto con Israele, e andarsene vorrebbe dire diventare rifugiati di nuovo. Questa è la mia casa, e anche se dovesse crollare resterei qui”.

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