Orlando: «I liguri non vogliono il bis del sistema Toti»
Intervista Il candidato del centrosinistra: «Quelle cricche sono la causa del declino della regione. Noi puntiamo a risvegliare la voglia di riscatto nei disillusi. Per 9 anni a decidere erano pochi, ricchi, privilegiati e solo uomini. Io voglio cambiare tutto. E sono convinto che i cittadini sentano il tema dell’onestà e delle regole». «Abbiamo costruito la coalizione più larga dal 2010. Sono contento che venerdì tutti i leader vengano a Genova. Dall’altra parte ci sono gli estremisti e i colpi bassi»
Intervista Il candidato del centrosinistra: «Quelle cricche sono la causa del declino della regione. Noi puntiamo a risvegliare la voglia di riscatto nei disillusi. Per 9 anni a decidere erano pochi, ricchi, privilegiati e solo uomini. Io voglio cambiare tutto. E sono convinto che i cittadini sentano il tema dell’onestà e delle regole». «Abbiamo costruito la coalizione più larga dal 2010. Sono contento che venerdì tutti i leader vengano a Genova. Dall’altra parte ci sono gli estremisti e i colpi bassi»
Andrea Orlando, deputato Pd ed ex ministro della Giustizia e del Lavoro. Da oltre tre mesi lei è impegnato in una full immersion nella sua Liguria per la sfida delle regionali del 27 e 28 ottobre. Cosa l’ha colpita di più in questo tour? Qual è la sofferenza più grave della regione?
Due aspetti in particolare: il collasso della sanità, con un debito di oltre 200 milioni, liste di attesa lunghissime che costringono ogni cittadino ligure a spendere in media 900 euro l’anno per curarsi; e il lavoro povero, con stipendi dell’10% più bassi rispetto alle altre regioni del Nord. Con questi salari e un alto costo degli affitti non si trovano lavoratori disponibili a venire in Liguria, in particolare infermieri e autisti del trasporto pubblico locale. Questo fenomeno accentua lo spopolamento e si ripercuote sulla qualità dei servizi, in un circolo vizioso.
Se venisse eletto lei cosa farebbe per la sanità?
Togliere risorse dal privato per metterle nel pubblico, chiudere l’agenzia regionale della sanità che si è rivelata un carrozzone inutile e avviare un reclutamento di personale sanitario, anche con un sostegno per l’affitto. E poi spendere i soldi del Pnrr per realizzare 32 case di comunità- ad oggi ne è attivata solo una – rinforzando le cure di prossimità e i medici di famiglia.
Il suo principale avversario, Marco Bucci, propone di azzerare le liste di attesa. Lei ha risposto che è una promessa irrealizzabile.
Con un buco di 200 milioni è folle fare promesse di questo tipo. Bisogna essere onesti con i cittadini e dire che lo faremo gradualmente. Qui si è verificato nei fatti che la strada di finanziare il privato per accorciare le liste d’attesa non funziona: serve solo a drenare risorse e forza lavoro dalla sanità pubblica e così la situazione peggiora ulteriormente.
Qual è la principale differenza tra il suo progetto e quello di Bucci?
Io punto a ripristinare una piena democrazia in cui le decisioni vengono prese nell’interesse di tutti i cittadini; lui rappresenta la continuità con i 9 anni di Toti in cui a decidere erano pochi, ricchi e privilegiati e solo uomini. L’inchiesta che ha travolto la giunta precedente ha svelato una precisa dinamica di gestione del potere da parte di un comitato politico-affaristico.
Eppure quell’inchiesta sembra ormai dimenticata dall’opinione pubblica.
Credo che la maggioranza dei liguri senta profondamente questo tema dell’onestà e del rispetto delle regole nel gestire la cosa pubblica. Il centrodestra ha fatto di tutto per silenziare l’inchiesta, e noi abbiamo deciso di non fare una campagna elettorale puntando solo su questo. Ma sulle sue implicazioni politiche e sociali, le cricche che si sono create sono una delle cause del declino della regione e noi su questo siamo in prima linea.
Ieri durante il confronto tra i candidati organizzato dal Secolo XIX i sostenitori di Bucci l’hanno contestata quando parlava della questione morale.
Sì, è in corso un tentativo di rimozione non solo dell’inchiesta. Si negano da parte di Bucci anche le infiltrazioni mafiose in regione, che pure sono emerse nelle carte giudiziarie. E del resto gran parte dei sostenitori di Bucci erano in prima fila nella gestione Toti: assessori, consiglieri, portavoce. Il mio avversario sta tentando in ogni modo di prendere le distanze da un sistema di potere di cui faceva parte.
Eppure quel sistema di relazioni tra politica ed economia, al netto delle inchieste, si sta rivelando resistente. Dal punto di vista delle destre ancora in grado di produrre consenso.
In questi dieci anni il terreno è stato arato, ci sono stati rapporti privilegiati con pezzi di economia e società, a destra non ci sono stati timori nell’utilizzare risorse pubbliche per generare consenso. Bucci è stato candidato proprio per salvare gli interessi di questo blocco sociale. Ma io sono convinto che la continuità sia un danno per gli interessi della regione.
Perché?
L’inchiesta ha oggettivamente rallentato le procedure della macchina regionale, ci sono aspetti amministrativi e contabili che non sono stati nell’occhio delle cronache ma pesano. Anche il rapporto con lo stato centrale ora è condizionato da una forte prudenza. Dalle mie parti di dice «se ti bruci con l’acqua calda poi hai paura anche di quella fredda». Se vincono loro le tante opere in Liguria rischiano di slittare, rischiamo di perdere i fondi già stanziati. Altro che l’accusa che ci viene rivolta di essere quelli contrari alle opere.
La destra ha un suo blocco sociale. Voi invece per vincere avete bisogno del voto della fasce più deboli e disilluse dell’elettorato, che spesso non votano.
Il nostro sforzo è stato tutto in questa direzione, nel suscitare la speranza di un riscatto, ben sapendo che le rotture tra sinistra e ceti popolari che durano da trent’anni non si ricuciono in pochi mesi di campagna elettorale. Io ho dato alla mia campagna una dimensione popolare e capillare, la riposta delle piazze è stata buona. Sicuramente non ci siamo risparmiati.
Quanto pesa la dimensione nazionale della sfida?
Per me questa è una partita che riguarda i liguri. La mia candidatura nasce qui, insieme ai sindaci, delle città e delle aree interne. Poi certo non viviamo in una bolla, c’è anche un quadro nazionale, che non sempre ci ha agevolato (sorride). Ci sono state scosse a Roma che qui si sono sentite, ma alla fine abbiamo la coalizione di centrosinistra più larga dal 2010. E non era per nulla scontato.
Venerdì avrà tutti i leader al comizio di chiusura a Genova. Era necessario?
Per settimane la destra ci ha accusato di essere divisi, mi sembrava giusto dare anche plasticamente l’immagine di un’unità che è vera. Sapendo che non basta per vincere, che è fondamentale mobilitare gli indecisi. Per questo ho chiesto a tutti i nostri sostenitori di «adottare» un astensionista.
Molti osservatori sottolineano che quella ligure è anche una prova di centrosinistra senza Renzi. E se doveste perdere partità il coro sulle inevitabilità della presenza di Iv in future coalizioni.
Un ragionamento che non ha senso. Nel 2020 il centrosinistra ha perso con 15 punti di distacco, in questi mesi abbiamo recuperato moltissimo e ora ci giochiamo la partita alla pari. Con una coalizione larga che comprende anche forze moderate come Azione. Semmai è Bucci ad aver dato ascolto alle parte più estremista della sua coalizione ed aver impostato la campagna su aggressioni e attacchi personali. Io mi sono limitato ad evidenziare errori e carenze delle giunte di destra, a smontare la narrazione artificiosa sugli “uomini del fare” senza scadere nella rissa. E sono convinto di aver fatto bene.
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