Michail Gorbaciov, membro del Politburo e della segreteria del Pcus – è vice del segretario Cernenko -, arriva in piazza San Giovanni a Roma con un abito molto elegante, un gessato grigio scuro.

Il primo con cui scambia qualche battuta è Giancarlo Pajetta. Poi Pajetta si allontana per salutare le altre delegazioni estere mentre Gorbaciov va incontro a Nilde Jotti, le stringe la mano e le dice: «Vediamo che tutta l’Italia è qui. C’è un grande dolore, ma anche un sentimento di gioia perché è il popolo che dà l’ultimo addio a Berlinguer».

Poi anche Nilde Jotti si allontana e il numero due del Cremlino si ferma a parlare con noi, usando come interprete Zagladin.

«I grandi combattenti sono destinati a consumare tutto di se stessi» dice. Spadolini che intanto, arrivato anche lui, si avvicina per salutare Gorbaciov e Zagladin annuisce e precisa. «Non i combattenti, ma i grandi combattenti, e questo spiega perché a salutare Berlinguer è venuta da Mosca una delegazione di così alto livello».

Gorbaciov riprende il discorso: «Dobbiamo lavorare per avvicinare i nostri due paesi». «È anche il nostro obiettivo» risponde Spadolini, avviandosi verso il palco.

A Gorbaciov chiediamo cosa accadrà ora, dopo la scomparsa del leader che più ha lavorato all’ipotesi di un eurocomunismo. «Siamo venuti per dare la nostra solidarietà. Noi crediamo e pensiamo di avere gli stessi scopi e di perseguire la stessa via».

Poi, subito dopo questa affermazione di comunanza fra gli obiettivi strategici che guidano il partito comunista italiano e quello sovietico, Gorbaciov precisa. «Ogni partito – aggiunge – ha i suoi compiti e le sue cognizioni specifiche. Ogni partito comunista ha la sua autonomia e le sue tattiche. Tra noi e il Pci ci sono legami di decenni. Voglio dire che penso che il rapporto tra i due partiti sarà rafforzato, ma che, soprattutto, mi interessa che si facciano più stretti i rapporti tra i nostri due popoli».

Zagladin, nonostante la sua estemporanea funzione di interprete, mostra di apprezzare le parole di Gorbaciov. Parole che sono sembrate voler mettere da parte i contrasti e le diversità profonde che proprio Enrico Berlinguer aveva messo in primo piano dopo i fatti polacchi.

Sarebbe dunque eccessivo voler leggere nell’intervista dell’importante leader del Cremlino la prova di un nuovo «disgelo» tra i due partiti. È vero tuttavia che i sovietici, in genere, non sono tra gli uomini politici del mondo comunista i più loquaci, come è da rilevare che dopo lo «strappo» il livello delle comunicazioni tra Pci e Pcus era stato affidato a rappresentanti moscoviti di secondo piano.

*Archivio del manifesto, 14 giugno 1984