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Onu bloccata, anche oggi niente tregua

Onu bloccata, anche oggi niente treguaIl Consiglio di sicurezza dell’Onu – foto Ap

Non si vota al Consiglio di Sicurezza, gli Usa minacciano ancora il veto. Giorni di negoziati su un testo ormai molto annacquato, ma Washington vuole ancora di più

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 21 dicembre 2023

La risoluzione del consiglio di sicurezza dell’Onu sulla tregua a Gaza non è stata votata neanche ieri, gli Stati uniti da soli continuano a tenere il mondo in bilico. Alla sera della terza giornata di intensi negoziati al Palazzo di vetro sul testo proposto dagli Emirati arabi uniti, via via sempre più annacquato, siamo ancora al nulla di fatto. Si riproverà oggi.

I colloqui, che fonti interne al Palazzo di vetro definiscono fitti e difficili, mirano a evitare un altro veto da parte degli Stati uniti e ad approvare un testo che sia il più chiaro possibile. «Stiamo ancora lavorando sulle modalità della risoluzione» aveva dichiarato ieri John Kirby, il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa, quando la votazione era ancora fissata per le 17. Washington ha poi chiesto più tempo. «È importante per noi che il resto del mondo capisca qual è la posta in gioco, cosa ha fatto Hamas il 7 ottobre e come Israele abbia il diritto di difendersi da queste minacce».

IN QUESTO BREVE commento sono contenute molte delle criticità della trattativa ancora in atto, che mira a convincere l’amministrazione Biden ad astenersi o a votare a favore della risoluzione. Il cui iter è stato quantomai ondivago. La bozza di risoluzione proposta da Abu Dhabi a inizio settimana, infatti, chiedeva una «cessazione urgente e sostenibile delle ostilità». Fin da subito però è stato chiaro che gli Usa non avrebbero votato un testo del genere. La prima astensione degli Usa nel Consiglio di sicurezza data al 15 novembre e ha permesso l’approvazione del primo testo unitario che chiedeva una «pausa umanitaria urgente e prolungata» nei combattimenti, la consegna senza ostacoli degli aiuti ai civili e il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi. L’8 dicembre, invece, Washington aveva posto il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza sostenuta da quasi tutti gli altri membri del Consiglio e da decine di altre nazioni che chiedevano un immediato cessate il fuoco umanitario a Gaza. Sulla stessa linea il ministro della difesa britannico (ed ex-premier) James Cameron, secondo il quale un cessate il fuoco sarebbe addirittura «controproducente e darebbe tempo prezioso ad Hamas per riorganizzarsi».

Pochi giorni dopo, il 12 dicembre, all’Assemblea generale delle Nazioni unite si era tenuta un’altra votazione. Sui 193 membri ben 153 avevano votato a favore, solo 10 contro (tra cui Usa e Israele) e 23 si erano astenuti (tra cui Germania e Italia). La differenza principale tra le risoluzioni del Consiglio di sicurezza e quelle dell’Assemblea è che le prime sono legalmente vincolanti, anche se le parti coinvolte spesso non le applicano, mentre le seconde servono solo a dare un indirizzo politico del momento. Perciò si insiste tanto affinché gli Usa prendano una posizione netta: anche porre il veto vorrebbe dire palesare la propria contrarietà alla pace.

E LA CASA BIANCA lo sa: non vuole passare come la superpotenza guerrafondaia, ma ciò non vuol dire che si preoccuperà di mettersi di traverso, se necessario. Tali valutazioni avevano spinto i proponenti a passare dalla formula diretta a un più moderato «il Consiglio chiede l’urgente sospensione delle ostilità per consentire un accesso umanitario sicuro e senza ostacoli, e passi urgenti verso una cessazione sostenibile delle ostilità». Tuttavia l’ambasciatrice presso l’Onu degli Emirati, Lana Nisseibeh, aveva fatto capire che la nuova risoluzione deve «spingersi oltre» rispetto a quella del 15 novembre. Dunque, sì alla trattativa ma senza svuotare di senso il testo. Il che, secondo diversi analisti, potrebbe essere l’obiettivo di Washington.

L’ULTIMA BOZZA di risoluzione, diffusa martedì, esprimeva «profonda preoccupazione per la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza, che si sta rapidamente deteriorando, e per il suo grave impatto sulla popolazione civile», esplicitava l’impossibilità per i civili gazawi di accedere a cibo, acqua, servizi igienici, elettricità, telecomunicazioni e servizi medici sufficienti, «essenziali per la loro sopravvivenza».

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