Olena Stjazkina e il vocabolario della resistenza
L'intervista A un anno dall’invasione russa parla l’intellettuale che ha narrato in un diario i giorni del febbraio 2022
L'intervista A un anno dall’invasione russa parla l’intellettuale che ha narrato in un diario i giorni del febbraio 2022
«Devo essere sincera con me stessa, ho avuto tanta paura in questi giorni e in queste notti. Ho paura anche adesso. Forse è normale avere paura, ma riconoscere di avere paura non è stato facile. La vergogna, il dolore e il male li abbiamo riconosciuti subito. Sentimenti che parlavano, gridavano. Ma la paura non gridava. Sembrava un uccello caduto dal nido, dimenticato e spaventato. La sua voce era stridula e sottile». Nelle pagine del diario che Olena Stjazkina ha stilato fin dal 24 febbraio del 2022, mentre su Kyjiv (l’esatta denominazione in ucraino della capitale) incombeva la minaccia dell’aggressione russa, c’è la cronaca dolente di chi non sa se vedrà il domani, se potrà davvero garantire una qualche forma di sicurezza a sé e ai propri cari. Ma in quelle frasi brevi, spesso raccolte di ritorno da un rifugio antiaereo o poco prima di tornare a mettersi in salvo di corsa da un imminente bombardamento, c’è anche tutta la determinazione di uomini e donne che di fronte al timore e al rischio sanno comunque mettersi in gioco, perché consapevoli – come spiega al manifesto la storica e scrittrice che ha abbandonato nel 2014 la città di Donetsk alla volta della capitale del Paese – che «i russi vogliono cancellare l’Ucraina dalla carta geografica. Negano il nostro diritto di esistere, di avere uno Stato, una lingua, storia e cultura. Ecco perché dobbiamo fare tutto il possibile e anche di più per vincere». Nei testi di Stjazkina, che chiudono l’antologia Dimensione Kyiv (Bur, pp. 378, euro 18, di cui si parla nel pezzo sottostante), tra rabbia, paura e tanta poesia, emerge così una sorta di vocabolario della resistenza che da, almeno, un anno a questa parte l’Ucraina oppone al suo invasore.
Ha raccontato dalle strade di Kyjiv l’invasione russa del 24 febbraio del 2022. A un anno dall’inizio della guerra qual è la situazione?
Per me e per molti altri ucraini l’invasione russa è iniziata nel 2014. Da quel momento non mi sono fatta più illusioni su cosa significhi davvero «russkii mir» (mondo russo) e quali siano gli obiettivi di Mosca nei confronti del mio Paese. Mentre il mondo intero chiudeva gli occhi e descriveva la guerra russa in Ucraina come un «conflitto civile» i miei occhi assistevano a come i russi uccidevano, torturavano e violentavano le persone dove vivevo, a Donetsk e nella regione di Donetsk. Nell’aprile del 2014 Volodymyr Rybak è stata una delle prime vittime dei russi: viveva a Horlivka e un giorno non ha permesso che la bandiera ucraina venisse profanata dagli invasori. È stato rapito e due settimane dopo il suo corpo, con numerosi segni di tortura, è stato trovato nel fiume: aveva lo stomaco squarciato e uno zaino pieno di sabbia attaccato alla schiena, lo avevano gettato in acqua ancora vivo. E avrei molte altre storie simili da raccontare. Perciò, in realtà la Russia conduce una guerra contro l’Ucraina fin dal 2014 e nel febbraio del 2022 si è verificata un’altra fase dell’aggressione. Come descriverei ora la situazione? Non è facile da spiegare. Il mondo ha vissuto un anno da quel 24 febbraio 2022, mentre gli ucraini hanno vissuto 365 anni: ogni giorno è stato molto lungo e molto breve allo stesso tempo. La guerra ha plasmato un nuovo senso del tempo e un nuovo calendario. Non so se ci sia stata anche una primavera e un’estate, ho realizzato solo che ci trovavamo in autunno, ho visto solo la caduta. E ora nulla è cambiato. So che ci saranno molti articoli dedicati all’anniversario di questa fase della guerra. Ma per noi, per me, è ancora un giorno, un anno di guerra. Al massimo ci scherziamo su: «Oh, gente, oggi è un anno da quando i russi “prenderanno Kiev in tre giorni”…». Faremo donazioni all’esercito e ai volontari, lavoreremo come volontari, aiuteremo i rifugiati, doneremo il sangue per i nostri soldati feriti, seppelliremo i nostri eroi e le nostre eroine e insegneremo ai nostri figli. Rideremo. Come scriveva la poetessa Lesia Ukrainka: «Il mio orgoglio allora si affermava: ridevo per non piangere». Sappiamo che dobbiamo vincere questa guerra. Non abbiamo altra scelta.
Nel suo diario non dà voce solo a chi combatte, ma anche al resto della popolazione che sceglie di resistere all’invasore cercando di non modificare, per quanto possibile, le proprie abitudini, di far sì che le città continuino a vivere. Forse coraggio non è la parola più adatta per descrivere tutto ciò…
Nei giorni del febbraio del 2022 – il 24, 25 e 26 – per molti l’unica vera domanda era quanto sarebbe stata dignitosa la morte. Sembrava che la determinazione e la dignità fossero la cosa più importante che avremmo lasciato ai nostri figli. Sempre che i nostri figli fossero sopravvissuti. Ma in quei giorni nessuno di noi usava la parola «coraggio». Ad essere onesti, la parola coraggio non può essere usata per descrivere se stessi. Sembra stupido e presuntuoso. Sia ora che allora i termini cui facciamo ricorso sono diversi. Tra questi, c’è «fiero». In ucraino, la parola per descrivere il febbraio del 2022 è questa e il prossimo anniversario sarà il 365° della nostra fierezza. Questa la sensazione che ci ha dato la forza fin qui. Le persone che hanno spento il fuoco delle proprie case bombardate citavano lo scrittore e poeta Taras Shevchenko: «Il fuoco non brucia coloro che sono fieri». Poi c’è l’amore, nel senso più ampio del termine: amore come solidarietà, gratitudine, fede, patriottismo, amore come forza dei deboli. O parole come «esercito ucraino». Ci si scherzava su: «Se Dio esiste, indossa l’uniforme dell’esercito ucraino». Tutte le mie email finivano così: «Ho potuto inviare questa lettera solo grazie alla resilienza e al coraggio del nostro esercito». E sono sicura del fatto che viviamo tutti grazie al credito concessoci dalle forze armate ucraine… Non solo noi, ma tutta l’Europa vive grazie a questo credito. Poi ci sono le parole maledette. Del resto le parolacce sono molto utili in questi casi. Dal più famoso: «Nave da guerra russa vai a farti fottere» ad alcune maledizioni popolari. Una poesia di Liudmula Horovaya è scritta come un incantesimo di una strega rivolto ai nemici. E dopo attacchi aerei, bombardamenti, omicidi contro la nostra gente ripetiamo queste parole: «Il nemico otterrà tutto ciò che la strega ha detto». Infine, ci sono libertà e indipendenza. Non certo espressioni formali. Questi sono i valori per i quali lottiamo. E mi rendo conto che ora tocca a noi ucraini restituire il vero significato a queste parole importanti.
Lei ha deciso di rinunciare all’utilizzo della lingua russa dopo aver lasciato la città di Donetsk nel 2014. È però sbagliato ritenere che la cultura ucraina e quella russa siano intrecciate? E che per sconfiggere l’imperialismo di Putin vada anche negato l’uso strumentale che fa della cultura?
Nel caso delle culture ucraina e russa, l’intreccio sembra più una connessione tra vittima e carnefice. Più la cultura ucraina ha acquisito la propria voce e il proprio percorso, più restrizioni, torture, omicidi e furti sono stati messi in campo dalla Russia. Il problema è che in molti ambienti occidentali le relazioni russo-ucraine non sono viste da una prospettiva coloniale-imperiale come accade invece nella realtà. Dal XVII secolo, il Cremlino ha considerato gli ucraini come persone di serie b, come i neri altrove. Tuttavia, come ha notato Mykola Riabchuk, la nostra pelle nera era la nostra stessa lingua. La convinzione di Putin che la lingua ucraina sia solo una variante del russo e che l’Ucraina non sia mai esistita prima di Lenin non sono certo novità. Si tratta di una visione che ha caratterizzato diversi secoli, dall’Ottocento fino all’Urss. Di sicuro gli occidentali non sanno che il più grande poeta ucraino, Vasyl Stus, è morto nel campo di prigionia di Perm quando la perestrojka di Gorbaciov era già iniziata. E ora i russi stanno facendo la stessa cosa. A Izium, hanno rapito, torturato e sparato al poeta e scrittore per bambini Volodymyr Vakulenko. Il suo corpo è stato trovato in una fossa comune dopo la liberazione della regione di Kharkiv. È stato identificato solo attraverso il dna. Nel marzo 2022, in via Pushkinska e in via Lermontov a Irpin, vicino Kiev, i russi hanno sparato a ragazze e donne e poi hanno investito i loro corpi con i carri armati. La «grande cultura umanistica russa» ha adempiuto alla sua missione? Ha impedito ai russi di commettere le atrocità che hanno commesso e stanno commettendo in Ucraina? La cultura russa è diventata l’arma di questa guerra, il suo fondamento ideologico. Perciò, personalmente appartengo a coloro che sostengono la necessità di stare lontani dalla cultura russa. Non so cosa accadrà dopo la nostra vittoria, ma per ora non posso ragionare come se fossi estranea a questa situazione. Non ci può sentire estranei alla guerra, agli omicidi e alle torture. Eppure, ascoltiamo solo il sostegno alla guerra degli intellettuali russi, o il loro timido silenzio. Oggi, perciò, il rapporto con la cultura russa è chiaro per gli ucraini: non ne abbiamo bisogno. Per l’Occidente, invece, questo rapporto dovrebbe diventare un problema di coscienza e di dignità per tutti coloro che continuano a invitare propagandisti del Cremlino fingendo che siano solo figure della cultura russa.
Molti analisti sostengono che i russi lanceranno una nuova offensiva nell’anniversario del 24 febbraio, come guarda al futuro?
Credo che sconfiggeremo la Russia. È nostro dovere verso chi è venuto prima e chi verrà dopo di noi ottenere la vittoria. Tuttavia, nessuno sa cosa ci succederà personalmente, me compresa. I missili russi sono lanciati contro i civili. Possono portare la morte in qualsiasi città, in qualsiasi casa e in qualsiasi momento. Perciò voglio ringraziare tutti coloro che ci aiutano a difendere l’Ucraina. La guerra mi ha insegnato che le buone parole vanno dette in tempo. Altrimenti, potrebbe non esserci più nessuno a cui dirle.
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