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Occupare le case è l’unica politica abitativa che resta

Un presidio a Milano organizzato da vari comitati per la casa, per il diritto all'abitare e il blocco degli sfratti (Ansa).Un presidio a Milano organizzato dai comitati per la casa – Ansa

Le polemiche su Salis La polemica sui novantamila euro che Salis dovrebbe ad Aler (azienda lombarda per l’edilizia residenziale) per l’occupazione di una casa popolare ha riacceso i riflettori su un tema che la politica italiana cerca sempre di evitare

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 25 giugno 2024

È difficile dire se, nel candidare Ilaria Salis al parlamento europeo, la Alleanza Verdi e Sinistra avesse previsto il tono del dibattito che sarebbe seguito all’elezione dell’attivista. La polemica sui novantamila euro che Salis dovrebbe ad Aler (azienda lombarda per l’edilizia residenziale) per l’occupazione di una casa popolare ha riacceso i riflettori su un tema che la politica italiana cerca sempre di evitare. Quando Salis ha rivendicato le pratiche del movimento della casa come «un’alternativa reale e immediata all’isolamento sociale e alla guerra tra i poveri», il sempre bombastico presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa ha gridato alla «rivendicazione orgogliosa di una serie di reati», e anche il moderato Massimo Gramellini ha sostenuto che solo nei sistemi autoritari è tollerabile infrangere le leggi. E quando Fratoianni (Avs) ha dichiarato che l’occupazione di immobili abbandonati non dovrebbe essere reato, Spaziani Testa ha addirittura concluso trattarsi di dichiarazione eversiva. Il nervo è evidentemente scoperto.

D’altronde, nonostante decenni in cui il silenzio sul tema si alterna a promesse tuonanti di sgomberare tutti, la realtà dei fatti è che sono decine, probabilmente centinaia di migliaia, le case occupate in giro per il paese. Si tratta soprattutto di case popolari, che spesso i comuni non sono in grado di gestire: i funzionari che ho intervistato a Napoli nel 2021 hanno ammesso trattarsi di circa metà del patrimonio comunale, che non avrebbero comunque le risorse per gestire adeguatamente. In parte, si tratta di edifici non residenziali, sia pubblici che privati, adattati a residenza dagli occupanti.

È un panorama molto complesso, d’altronde, con occupazioni di ogni tipo, da quelle politicizzate a quelle (una piccola parte) gestite dalle mafie, e soprattutto tante, tantissime occupazioni più o meno disorganizzate, precarie e che cercano di rimanere fuori dai radar (si veda il lavoro di Esposito e Chiodelli sempre su Napoli).

Molto semplicemente, lo stato italiano non può mettere fine alle occupazioni perché il movimento delle occupazioni ha costituito – con tutte le sue contraddizioni – l’unica “politica” della casa degli ultimi quattro decenni. Con la fine del fondo Gescal (1990) e dell’Equo canone (tra 1992 e 1998), è dagli anni Novanta che l’Italia ha desistito da ogni tentativo serio di costruire un parco residenziale pubblico adeguato e di regolare il mercato.

I risultati sono evidenti: liste di attesa epocali per accedere a una casa pubblica, affitti fuori controllo e sempre più disconnessi dai salari (ricordando, tra l’altro, che l’Italia è l’unico paese europeo dove i salari sono diminuiti dagli anni Novanta a oggi).

Le occupazioni hanno costituito l’unico strumento con cui decine, centinaia di migliaia di famiglie hanno potuto darsi un tetto. Concretamente, le occupazioni hanno anche dato attuazione alla funzione sociale della proprietà – che nel caso dell’immobiliare è la residenzialità – definito dall’articolo 42 della Costituzione.

Non per niente molti codici penali europei considerano perfettamente legali le occupazioni di immobili vuoti (codici penali eversivi, a quanto pare). Il codice penale italiano può anche definirle un reato – in tutti i codici penali esistono leggi ingiuste o fondamentalmente anti-costituzionali – ma questo non toglie nulla al valore di “politica pubblica” delle occupazioni. E, in fondo, le reazioni scomposte alle parole di Ilaria Salis dimostrano che è qualcosa che anche i nemici delle occupazioni sanno, e temono.

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