Il tracollo è arrivato nel pomeriggio: all’ora di pranzo i dati dell’affluenza erano in linea con quelli di quattro anni e mezzo fa (19.2%) e a tutti sembrava un miracolo. Sui social network si parlava di file ai seggi e in molti hanno speso parole al miele verso la (presunta) grande partecipazione di un popolo, quello italiano, che a sorpresa si stava dimostrando incredibilmente attaccato alle sue istituzioni. Poi, con i dati delle 19, la prima doccia fredda: 51% di affluenza, meno sette punti sul 2018. A chiusura delle operazioni di voto, ore 23, la resa definitiva: 63.8% contro il 72.9% delle scorse elezioni politiche. Un tracollo in piena regola, a confermare le sensazioni registrate durante tutta la campagna elettorale, poca gente ai comizi – indicativo il fatto che i ragazzi dei Fridays for future abbiano surclassato per numero le chiusure di tutte le forze politiche in proporzione di dieci a uno -, poche discussioni nelle strade, gran quantità di meme e di battute su Facebook e su Twitter – ma si tratta di bolle, a ciascuno la sua – e inutile il tentativo di assalto a Tik Tok da parte dei leader, che a quanto pare non hanno convinto gli elettori più giovani ma almeno sono riusciti a strappare loro quattro risate.

La ministra Lamorgese ha parlato a mezzanotte e mezza, snocciolando i dati con tono neutro e senza particolare enfasi, sottolineando appena il successo del voto a casa per i positivi al Covid che ne hanno fatto richiesta. Scontati ringraziamenti a chi ha passato la giornata di ieri ai seggi per consentire l’esercizio del voto e alle forze di polizia «che hanno garantito il democratico svolgimento delle operazioni di voto».

Male il sud: in Campania l’affluenza è crollata di 15 punti (53% contro 68%) – con Napoli città che si è fermata addirittura sotto il 50% -, in Calabria a stento si è superata la metà degli aventi diritto ai seggi (50.3%), in Sardegna il conto si è fermato poco sotto il 52%. Si migliora, almeno un po’, al nord e al centro: guida l’Emilia Romagna con il 72%, seguono la Lombardia (71%) e la Toscana (69%).

Va detto, a parziale spiegazione, che ieri in Campania si è scatenato un nubifragio di proporzioni ingenti che ha trasformato Napoli e dintorni in una specie di Venezia: di certo il meteo avverso ha tenuto molti elettori lontani dalle urne, ma è difficile non vedere anche motivi politici dietro questa bassa affluenza. È il caso del Movimento Cinque Stelle, che benché in linea generale abbia rimontato diversi punti negli ultimi mesi, ha sostanzialmente dimezzato i suoi consensi rispetto a cinque anni fa. Tra gli altri problemi da sottolineare c’è quello dei fuorisede, il cui ritorno a casa per votare è spesso una corsa a ostacoli lungo le incerte linee ferroviarie italiane: la campagna, sul punto, andrebbe avanti da anni, ma ogni appello a cercare di risolvere la situazione continua pervicacemente a cadere nel vuoto. Questo a proposito della famosa partecipazione giovanile, storicamente in sofferenza un po’ per (ovvia) disaffezione e un po’ proprio perché affrontare viaggi della speranza solo per andare a votare spesso si rivela un’impresa superiore alle proprie forze, nonché economicamente svantaggiosa assai.

Le file della mattina, per il resto, si spiegano soprattutto con la novità del tagliandino antifrode che i presidenti di seggio hanno dovuto registrare e staccare da ogni scheda votata, causando ovvi ritardi nel voto e conseguenti attese per poter accedere al seggio. A un certo punto della giornata era anche circolata la voce che il Viminale avrebbe prorogato l’orario del voto, ma la fuga pomeridiana dalle urne ha scongiurato questa evenienza.

Tra i casi curiosi, da segnalare a Bologna l’errore sul nome di Pier Ferdinando Casini, che sui manifesti elettorali risultava Pierferdinando tutto attaccato: il ministero degli Interni, per ovviare al refuso, ha fatto pervenire degli adesivi che poi i presidenti hanno dovuto materialmente attaccare sopra la dicitura sbagliata. A Cagliari, la leghista Roberta Loi è stata ribattezzata Roberto. È stata la stessa candidata a far presente il problema sui social – sottolineando a beneficio dei suoi elettori che comunque si trattava di lei – e ha annunciato che, in ogni caso, si farà sentire «nelle sedi opportune». Errore di stampa, invece, a Bergamo, dove Elisabetta Maffioletti (Sinistra-Verdi) è diventata Elisa. Qui la Prefettura se l’è cavata dicendo di segnalare l’errore ai presidenti di seggio.

La giornata è andata giù così, con i soliti exit poll più o meno verosimili a rincorrersi su Whatsapp e le code ai seggi della mattina che il pomeriggio si sono dissolte. Il dato finale è il peggiore di sempre, come già lo erano ai loro tempi quelli del 2018 e quelli del 2013. Alla fine, vincitori e vinti all’unisono si impegnano sempre a lavorare per recuperare gli astenuti. Parole al vento, fino alla prossima grande astensione.