Erano in centinaia ieri sulla Route 60 che attraversa Huwara a seguire la salma di Labib Dhamidi, 19 anni, ucciso giovedì sera durante un nuovo raid di coloni israeliani in questo villaggio divenuto un luoghi a più alta tensione della Cisgiordania occupata. Esercito e polizia di Israele, dopo un lancio di pietre da parte dei manifestanti, sono intervenuti con forza facendo, secondo la Mezzaluna rossa, 51 feriti, tre dei quali da proiettili veri alle gambe.

I palestinesi insistono. Ad uccidere Dhamidi, dicono, sono stati colpi sparati dai coloni e non dai soldati israeliani che li proteggevano durante l’incursione nel villaggio palestinese che verrà ricordata a lungo. Si è rischiato infatti un pogrom come quello di fine febbraio quando ad Huwara furono date alle fiamme decine di automobili e abitazioni palestinesi. Guidati da un deputato alla Knesset, Zvi Sukkot, i coloni sono giunti ad Huwara per vendicarsi dei colpi sparati ore prima da un palestinese contro un’auto israeliana (non ci sono state vittime). Prima si sono sfogati lanciando pietre contro negozi e case provocando danni gravi. Poi hanno montato al centro del villaggio palestinese un’ampia tenda per la festività ebraica dei Tabernacoli, dove hanno recitato preghiere nel cuore della notte. Infine, Zvi Sukkot ha allestito assieme a un centinaio di coloni un suo «ufficio parlamentare», sempre nel centro del villaggio. La reazione dei palestinesi è arrivata subito. Decine di giovani hanno affrontato gli occupanti con lanci di pietre. A quel punto sono partiti i colpi che hanno ucciso Dhamidi. Per i testimoni non ci sono dubbi. A spararli sono stati i coloni, come lo scorso febbraio quando fu ucciso un abitante in un villaggio vicino.

Prima dell’uccisione di Dhamidi, il ministro israeliano della Sicurezza Itamar Ben-Gvir, uno dei leader dell’estrema destra, ha commentato la decisione dell’esercito di imporre la chiusura a tutti i negozi di Huwara con queste parole: «Le nostre vite hanno la priorità sulla libertà di movimento e di commercio dei palestinesi. Continueremo a dire questa verità e lavoreremo attivamente per attuarla». Non è la prima volta che Ben Gvir scrive o pronuncia queste parole. Nelle settimane passate aveva fatto le stesse dichiarazioni su una tv nazionale suscitando lo sdegno persino degli Stati uniti, il principale alleato di Israele.

Ben Gvir non è solo. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, un altro esponente di punta della destra più radicale, ha esortato esercito e polizia a reagire aumentando l’uso della forza contro i palestinesi sotto occupazione. Smotrich, accompagnato proprio dal deputato Zvi Sukkot, dal capo del consiglio regionale delle colonie Yossi Dagan, da un membro del partito di maggioranza Likud, ha chiesto che i negozi di Huwara siano obbligati a restare chiusi finché non verranno completati i lavori di una strada alternativa, solo per i coloni. Il ministro delle Finanze ha anche attaccato il premier Netanyahu e il suo collega alla Difesa Yoav Galant, «colpevoli» di aver ordinato la chiusura della Route 60 durante i funerali di Dhamidi, bloccando il passaggio dei coloni.

Cresce l’attesa in queste ore per l’udienza dei giudici della Corte di Rishon Lezion chiamata a decidere sul caso di Khaled El Qaisi, 27 anni, arrestato da Israele il 31 agosto. Domenica scorsa, dopo averlo tenuto in custodia cautelare per un mese senza accuse, i giudici avevano ordinato la liberazione condizionata dello studente italo-palestinese che negli ultimi giorni è rimasto a casa di un parente a Betlemme. La famiglia in Italia spera che El Qaisi domani sia prosciolto e lasciato tornare a Roma dove vive da molti anni.