Molte migliaia di israeliani, scandendo «Democrazia, democrazia», hanno nuovamente manifestato ieri in ogni punto del paese, bloccando decine di strade e per qualche ora persino la via di accesso all’aeroporto internazionale Ben Gurion, in segno di protesta contro l’iter avviato alla Knesset dal governo di estrema destra religiosa guidato  daNetanyahu per una profonda riforma giudiziaria e, più di tutto, per ridurre l’autonomia dei giudici e il potere di controllo della Corte suprema. A Tel Aviv è rimasto paralizzato lo svincolo stradale Rokah-Namir, poi la tangenziale Ayalon. Quindi in via Kaplan, i manifestanti hanno portato una locomotiva per affermare che la democrazia è un elemento chiave per la «locomotiva economica» israeliana. Al porto di Haifa, una flottiglia di imbarcazioni con a bordo di decine di manifestanti, tra cui due ex comandanti della Marina, ha bloccato la rotta marittima verso il porto. La polizia ha disperso alcuni raduni, eseguendo una ventina di arresti, e riaperto buona parte delle strade chiuse. Proteste sono avvenute anche a Gerusalemme dove la polizia ha fermato sei persone che avevano bloccato alcuni edifici con il filo spinato.

La mobilitazione contro Netanyahu e il ministro della giustizia Yariv Levin non è destinata a spegnersi visto l’atteggiamento del governo. E restano inascoltati gli avvertimenti del capo dello stato Isaac Herzog sul rischio di una «guerra civile» e i suoi appelli a un compromesso. Ieri per raggiungere l’aeroporto Ben Gurion, il premier è salito su un elicottero della polizia, l’unico modo per superare i blocchi stradali dei manifestanti intenzionati ad impedire la sua partenza per Roma. Ad intermittenza Netanyahu invia all’opposizione timidi segnali di disponibilità al dialogo, senza però congelare la riforma della giustizia, come gli ha ripetutamente chiesto l’ex premier centrista Yair Lapid. E nell’intervista che ha dato a Repubblica prima del suo viaggio a Roma – dove oggi sarà accolto con entusiasmo e grandi onori dalla premier di destra Giorgia Meloni – si è mostrato spavaldo, forte del consenso degli elettori che lo hanno riportato al potere lo scorso 1° novembre.  Anche se i sondaggi dicono che persino una quota di sostenitori del Likud, il suo partito, teme gli attacchi ai giudici e alla Corte suprema. Intanto è scattata la prima punizione contro i piloti militari della riserva che si sono mobilitati contro la riforma giudiziaria. Il comandante dell’aviazione Tomer Bar ha ordinato la sospensione fino a nuovo ordine di un importante ufficiale della riserva, il Colonnello G., indicato così dai media locali, che si era fatto portavoce della protesta ed aveva dato interviste televisive. I piloti ed i navigatori comunque sembrano non cedere alle intimidazioni e al capo di stato maggiore Herzi Halevy hanno ribadito che nella maggior parte delle squadriglie c’è un crescente malessere.

Gli organizzatori delle proteste hanno descritto le iniziative di ieri come il «Giorno nazionale di Resistenza in terra, aria e mare». Nelle stesse ore in Cisgiordania i palestinesi piangevano l’uccisione di tre dei loro «resistenti», in un agguato di unità speciali dell’esercito israeliano a Jaba (Jenin). I comandi militari hanno parlato di uno scontro a fuoco con tre uomini armati del Jihad islami. Inoltre, è spirato Walid Nassar, un 14enne ferito gravemente durante il raid di tre giorni fa di militari e poliziotti israeliani nel campo profughi di Jenin (sei morti palestinesi). La grave situazione nei Territori palestinesi occupati da Israele è stata tra gli argomenti al centro dell’incontro che Netanyahu ha avuto prima di partire con il Segretario alla difesa Usa Lloyd Austin all’aeroporto di Tel Aviv. Esprimendo preoccupazione per il deterioramento della situazione in Cisgiordania, Austin ha esortato a intraprendere azioni immediate per attuare gli impegni presi da israeliani e palestinesi ad Aqaba, in Giordania, il 26 febbraio. E ha aggiunto che gli Stati uniti sono «particolarmente turbati dalla violenza dei coloni israeliani contro i palestinesi». Da parte sua Netanyahu ha detto che «Israele e Stati uniti hanno una agenda comune: impedire all’Iran di dotarsi di armi atomiche».