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Nuova retromarcia Labour, questa volta sulle scuole private

Nuova retromarcia Labour, questa volta  sulle scuole privateStudenti dell’Eton College – Getty Images

Starmer si rimangia ancora le promesse del suo programma sui privilegi fiscali per gli istituti costosi e di èlite del Regno unito

Pubblicato circa un anno faEdizione del 29 settembre 2023

In caduta liberal: è il neo-New Labour che (sir) Keir Starmer sta frettolosamente imballando in vista delle prossime elezioni politiche.
Fin dal suo insediamento, il leader laburista ha infilato una serie di marce indietro su altrettante policy vagamente redistributive annunciate all’inizio del suo mandato, in perfetta sintonia con la sua missione principale: la piena restaurazione del blairismo come stella (impo)polare del partito.

ULTIMA MARCIA INDIETRO in ordine di tempo, quella sulle scuole. Laddove il partito vincesse le elezioni – ha venti punti di vantaggio sui conservatori – il cosiddetto status di ente benefico (charitable) delle scuole private, che permette loro di godere di esenzioni fiscali sulle donazioni che ricevono e sui loro profitti annuali, non verrebbe affatto abolito come inizialmente sbandierato.

Fonti ufficiali del partito si sono sperticate a sostenere che la misura non fosse mai stata veramente presa in considerazione, contraddicendo dichiarazioni ufficiali in questo senso rilasciate ripetutamente negli ultimi mesi.

IN INGHILTERRA E GALLES ci sono circa 2.500 scuole private e la metà sono registrate come enti benefici: un regalo a chi è già ricco e può comprare un’istruzione privata e su misura ai propri figli: proprio come la stracitata Eton, che incuba i galli in batteria della futura classe dirigente (cfr. Boris Johnson e David Cameron) di un paese che continua ad avere una diseguaglianza sociale tra le più elevate d’Europa. Il tutto sulla scia dell’imponente ondata di scioperi degli ultimi mesi che ha interessato anche gli insegnanti e, soprattutto, dopo le chiusure in questi ultimi giorni di circa 150 istituti i cui edifici erano risultati malsicuri dal punto di vista edilizio.

Un problema, quest’ultimo, che sarebbe stato risolvibile con i soldi che i Tory hanno invece profuso in questi ultimi tredici anni al governo nella creazione delle cosiddette free schools, scuole in cui i residenti e gli insegnanti di una tal area hanno la possibilità di aprirvi una scuola finanziata dallo Stato laddove riescano a convincere il governo che ce ne sia bisogno. Nient’altro che un proseguire sulla scia di privatizzazioni e di rattrappimento del ruolo statale targati Thatcher-Blair.

Forse solo un ingenuo poteva credere che, una volta assurto alla leadership, un avvocato delle cause vinte come Starmer avrebbe tenuto fede al rosario di spergiuri sgranato per succedere a Jeremy Corbyn: trovare un termine medio tra la hard left socialdemocratica del predecessore – la cui purga era in cima alle priorità del neoleader – e lo strutturale parlamentarismo moderato del partito.

NÉ SORPRENDE CHE ORA, in sella ai sondaggi, si stia rimangiando tutto. Ha abbandonato l’impegno di investire 28 miliardi di sterline l’anno in misure per la salvaguardia di quello che rimane dell’ambiente e ha cestinato la promessa di aumentare il prelievo fiscale sui ricavi dell’hi-tech britannica dal due al dieci percento. Per non parlare del dietrofront sulle nazionalizzazioni di poste, acqua ed energia promesse da Corbyn, che aveva sottoscritto prima di diventare leader onde meglio beffare la base del partito, che sotto il Corbyn medesimo era diventata la più vasta d’Europa (i beffati se ne sono andati ben presto). Anche l’impegno a difesa dei diritti dei lavoratori e le protezioni per gli sfruttati della gig economy sono dati per dispersi. Per non parlare delle mutilazioni dei conservatori allo stato sociale: l’annuncio che non abolirà una delle loro misure più socialmente detestabili, quella per cui oltre il secondo figlio le famiglie povere non possono ricevere sussidi, gli è valso l’epiteto di “affamatore” (Starver).

NEL FRATTEMPO, DA MESI, assieme a Rachel Reeves, ministra ombra delle finanze, Starmer sta facendo serenate sotto alle sale riunioni delle imprese e soprattutto corteggia quei ricchi donatori che di solito riempiono le casse dei conservatori: questo perché l’emorragia di iscritti (oltre 90.000 defezioni all’anno scorso) ha portato il partito sull’orlo della bancarotta con circa cinque milioni di sterline di debiti.

Il tutto gode di un’assordante grancassa mediatica: nei loro editoriali, i commentatori liberali, con al solito il Guardian in prima linea (Andrew Rawnsley, Rafael Behr, Polly Toynbee, Martin Kettle e soprattutto Jonathan Freedland) si profondono in florilegi a difesa dell’in-decisionismo del leader. Con operazioni retoriche che mescolano i sofismi presocratici al contorsionismo circense. Nel nome del solito pragmatismo, la formuletta buona per tutte le stagioni più che mai tirata a lucido in vista del congresso del partito laburista, che si terrà a Liverpool il prossimo undici ottobre.

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