La maggioranza non è d’accordo, la riunione di ieri al ministero della giustizia è stata inutile, continua la storia del reato di abuso di ufficio e delle sue modifiche. Storia infinita: modificato cinque volte in trent’anni, le ultime tre (1990, 1997 e 2020) per restringerne sempre più l’applicazione, l’articolo 323 del codice penale non va mai bene a chi governa. L’ultimo a cambiarlo era stato Giuseppe Conte, che nel luglio 2020 si presentò con tanto di slide per spiegare che il suo «decreto semplificazioni» avrebbe cancellato per sempre la «paura della firma» che blocca sindaci e altri amministratori pubblici. Persino la Corte costituzionale, fatto insolito, ha citato quella conferenza stampa per giudicare legittima l’ultima modifica: oggi perché ci sia abuso d’ufficio occorre che il pubblico ufficiale violi precise norme di legge con dolo e procurando a sé o ad altri un effettivo vantaggio, come ha ricordato ieri in audizione alla camera il professore di diritto penale Gian Luigi Gatta.

Perché, altra stranezza, il parlamento sta lavorando da tempo sull’abuso d’ufficio, esaminando (seconda commissione camera) diverse proposte di legge di Forza Italia e Azione. Puntano all’abolizione secca del reato o, quella del calendiano Costa, alla sua depenalizzazione (sarebbe punito con una multa). Ma è quasi un esercizio retorico, perché si aspetta da un momento all’altro la proposta del governo, al solito lungamente annunciata dal ministro Nordio. Fosse per lui, lo ha detto, l’articolo 323 del codice penale andrebbe solo abolito: impossibile restringere ulteriormente la fattispecie. Ma non la pensa così il partito che lo ha fatto eleggere in parlamento, Fratelli d’Italia, né la Lega, che preferiscono un intervento più morbido, un ritocco che possa però avere lo stesso effetto dell’abolizione. Forza Italia invece sta con lui.

Il vice ministro della giustizia Sisto e i due sottosegretari Delmastro e Ostellari rappresentano tutte e tre le forze politiche di maggioranza, per cui ieri si sono riuniti a via Arenula con i tecnici per concludere che le distanze tra loro restano. La promessa di portare questa riforma e poi anche le altre del pacchetto annunciatissimo (intercettazioni, custodia cautelare) deve attendere. Anche sé, come ha ricordato ieri Gatta, l’Italia è vincolata dalla convenzione dell’Onu di Merida che esclude la possibilità di rinunciare del tutto al controllo di legalità sui pubblici ufficiali.

I dati però segnalano da tempo un problema. Se l’abuso d’ufficio viene contestato abbastanza facilmente (non solo ai sindaci, che insistono per un nuovo intervento, ma anche ai magistrati per esempio) perché ha una fattispecie generica, poi in circa l’80% dei casi viene archiviato. I procedimenti avviati sono però in calo (-40% dal 2016 al 2021), pochissime le condanne (una sessantina, patteggiamenti compresi, nel 2020). «Certo che è fastidioso finire sotto processo e poi essere assolto, ma sono le regole del gioco», ha detto anche lui in audizione l’ex giudice Davigo (attualmente sotto processo a Brescia per rivelazione di segreto d’ufficio).

L’Anci che rappresenta i sindaci insistono, M5S è contrario a ogni modifica, il Pd è prudente e preferisce la via della correzione della legge Severino. Ma i problemi sono soprattutto nella maggioranza. Per quanto Salvini possa, ancora, promettere: «La riforma arriverà entro maggio in Consiglio dei ministri».