Nordio contro gli ex colleghi. Le opposizioni: «Si dimetta»
Il nome della legge «I magistrati esondano» dice il ministro della Giustizia. Le decisioni prese da sei giudici, ma la destra attacca «la toga rossa» Albano. Soldi buttati per le deportazioni non riuscite, Iv e M5s alla Corte dei conti: «Danno erariale»
Il nome della legge «I magistrati esondano» dice il ministro della Giustizia. Le decisioni prese da sei giudici, ma la destra attacca «la toga rossa» Albano. Soldi buttati per le deportazioni non riuscite, Iv e M5s alla Corte dei conti: «Danno erariale»
«Se la magistratura esonda dai propri poteri attribuendosi delle prerogative che non può avere, deve intervenire la politica che esprime la volontà popolare». In una giornata di fiumi che rompono gli argini e palombari chiamati a soccorrere automobilisti inabissati in città, forse Carlo Nordio avrebbe potuto scegliere un verbo migliore per il suo altolà alle toghe. Il senso del discorso, comunque, è chiaro: la sezione immigrazione del tribunale di Roma – che venerdì ha demolito il protocollo albanese che tanta fatica e tanti soldi è costato al governo – non la passerà liscia, l’affronto (perché così l’esecutivo considera l’applicazione della legge) non può restare impunito.
«Noi rispondiamo al popolo – ha detto ancora il ministro da Palermo -, se il popolo non è d’accordo con quello che facciamo noi andiamo a casa. La magistratura, che è autonoma e indipendente, non risponde a nessuno e quindi proprio per questo non può assumersi prerogative che sono squisitamente ed essenzialmente politiche». Ecco, squisitamente ed essenzialmente, Nordio ritiene che debba essere l’esecutivo a decidere quale paese sia sicuro e quale no, spacciando la cosa come se fosse una questione diplomatica: «Definire non sicuro un paese amico come il Marocco può anche creare dei problemi. Se noi ritenessimo che non sono sicuri i paesi dove vigono delle regole che noi abbiamo ripudiato come la pena di morte, allora anche gli Stati Uniti non sarebbero sicuri. Queste sono questioni di alta politica e non possono, non devono e non saranno lasciate alla magistratura».
L’ARGOMENTAZIONE su quella che definisce una «sentenza abnorme» potrebbe tornare utile per avere la meglio in qualche discussione su Facebook o su X, a patto naturalmente di non essere un ministro della Repubblica. Ma essendo Nordio un membro del governo in carica, e non avendo detto quanto sopra in un post con la foto di un gattino, le reazioni non possono che essere veementi. In una parola: «Dimissioni». Le chiedono le opposizioni in coro, a partire dal Pd e poi giù a cascata fino a M5s e Avs, passando per +Europa.
In effetti il confine della separazione dei poteri, a parole, è stato ampiamente superato e non regge più la giustificazione che Nordio ha sempre fatto il Nordio e non ha mai rinunciato a una polemica con i suoi ex colleghi in toga. Che, dal canto loro, quasi liquidano l’uscita con un’alzata di spalle.
Ieri a Pesaro, dove è in corso la rassegna Parole di giustizia, i molti esponenti di Magistratura democratica presenti hanno affrontato il tema con una battuta o poco più. «Eviteremo di mettere i calzini turchesi», ha detto al manifesto una famigerata toga rossa alludendo al mitologico caso Mesiano, il giudice della sentenza Fininvest-Cir a suo tempo messo in croce da Canale Cinque per il suo abbigliamento.
L’ARIA CHE TIRA, del resto, è quella. Al centro del mirino dei propagandisti filogovernativi c’è soprattutto una giudice della XVIII sezione civile di Roma che venerdì non ha convalidato i trasferimenti in Albania di dodici migranti raccolti in mare da una nave della marina militare.
Si tratta di Silvia Albano. La ricerca di appigli per procedere a un’operazione di killeraggio mediatico sul modello di quanto accaduto un anno fa a Iolanda Apostolico procede, ma sin qui il massimo che si è riusciti a fare è la sottolineatura di una conclamata e mai negata evidenza: Albano è presidente di Magistratura democratica e nei mesi scorsi, in punta di diritto, aveva già spiegato più volte per filo e per segno perché i piani albanesi di Meloni fossero dal punto di vista legale una sciocchezza (eufemismo).
E poi la storia di per sé non regge: i provvedimenti del tribunale di Roma sono stati emessi da sei giudici diversi, alcuni appartenenti a correnti di certo non progressiste.
Albano di udienze ne ha tenute solo due su dodici e, anche con un notevole sforzo di immaginazione, è complicato sostenere che ci sia stata una sua regia dietro quello che il governo considera un golpe giudiziario. Più banalmente si è trattato di decisioni nell’ordine delle cose, previste da più parti sulla base delle leggi vigenti. Tutto qui.
LO SCONTRO tra governo e magistratura è in ogni caso servito e andrà avanti senza esclusioni di colpi, nell’ennesima replica di un grande classico dell’ultimo trentennio di vita pubblica italiana. In tutto questo le opposizioni, oltre alla richiesta di dimissioni di Nordio – destinate a restare lettera morta – puntano forte sullo spreco di soldi pubblici che il fallimento del protocollo Albania porta con sé.
Ieri sia Italia Viva sia il Movimento Cinque Stelle hanno gridato al danno erariale e annunciato la loro intenzione di rivolgersi alla Corte dei conti. Il denaro investito nell’impresa da Meloni poteva certo essere speso meglio, ma forse la cosa davvero preoccupante di questa storia è un’altra e riguarda il tentativo, ancora in corso, di legalizzare le deportazioni dei migranti.
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