Non Una Di Meno: «Solo il reddito di autodeterminazione è universale»
VERSO L'OTTO MARZO Un’analisi critica del cosiddetto «reddito di cittadinanza»: «È discriminatorio»
VERSO L'OTTO MARZO Un’analisi critica del cosiddetto «reddito di cittadinanza»: «È discriminatorio»
Diffuso ieri, il documento presentato da Non Una Di Meno Roma analizza il reddito di cittadinanza appena varato dal governo gialloverde. L’accento è posto su alcuni punti che da sempre sono cari al movimento femminista; in preparazione dell’8 marzo, Nudm prosegue la lettura della realtà in relazione alle varie istanze che attengono la complessità delle vite, «ritenendo, da sempre – si legge nel documento – che le questioni economiche, legate al lavoro, al reddito e al welfare, siano fondamentali per ogni azione di contrasto alla violenza di genere».
Partono da una fotografia della povertà e della «condizione femminile nel mercato del lavoro (e del non lavoro)» considerando alcuni dati che concernono l’occupazione femminile (al 49,7%, -18,3 punti % di quella maschile); l’inattività femminile (al 44%, +20 punti % di quella maschile secondo l’Istat); il differenziale salariale di genere complessivo (al 43,7% secondo quanto registrato dalla Commissione Europea). Stringendo sempre sui dati Istat, in povertà assoluta sappiamo essere precisamente 2 milioni e 472mila donne mentre 4 milioni e 669mila quelle in povertà relativa.
TENENDO CONTO di quanto segnalato, Nudm fa notare che il reddito di cittadinanza lascerà fuori un’ampia fetta di povertà, oltre a quella relativa anche di nuclei famigliari in povertà assoluta. Selettiva e discriminatoria, la misura non è di carattere universalista e non è indirizzata a chi non ha cittadinanza europea, oltre a chi non risiede in Italia da almeno dieci anni, in un paese come l’Italia dove le famiglie di soli migranti coprono il 34,5% della povertà relativa. Ciò nonostante, non sfugge all’analisi il carattere familistico del provvedimento che viene calcolato sulla base del numero dei componenti della famiglia e su base annua. Calandosi nella realtà concreta delle cose, Nudm riflette sulle separazioni per esempio e sul fatto che per condividere il reddito di cittadinanza si sarà costretti a vivere sotto lo stesso tetto, con il richiedente che dovrà essere quello con il reddito più alto (nella maggior parte dei casi si tratta dell’uomo). Puntualizzazioni rilevanti che nelle quattro fitte pagine (consultabili integralmente sul blog di Non Una Di Meno), il movimento raduna in una sintesi efficace, giungendo alla descrizione di quanto accadrà quando si entrerà in possesso della «famosa» Carta Rdc. Tra «abilità» e «inabilità», che vanno a differenziare il «Patto per il lavoro» da quello di «Inclusione sociale», una serie di incongruenze che rispondono al saldarsi del legame tra workfare, nella sua espressione radicale, e welfare; per esempio l’avvalorare il lavoro gratuito di cura che le donne svolgono verso persone vulnerabili o quello, sempre gratuito – seppure di carattere restitutivo/vigilato – di tutti i beneficiari (escluse le «categorie» come quelle sopra descritte) che dovranno garantire 8 ore di lavoro presso i comuni.
PER QUESTE RAGIONI, Non Una Di Meno chiede ciò che già il 24 novembre del 2017 aveva inserito nel «Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e contro la violenza di genere». Il reddito di autodeterminazione, universale e incondizionato, era allora, ed è oggi, l’esito maturo di un processo politico preciso: intersezionale perché parla al presente delle vite di cui si fa carico interamente. L’autodeterminazione di cui discute Nudm ha a che fare con la libertà ineludibile di dire se stesse, per esempio fuori dalla cittadinanza e dai permessi di soggiorno, così come dalle prestazioni lavorative; rappresenta la sperimentazione del benessere dei propri corpi, con la rivendicazione degli spazi che si intendono abitare e attraversare. Vuol dire, nella felice chiusa del documento, «liberare i nostri tempi di vita».
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