Chi partirà dalla Russia per combattere in Ucraina o, secondo la formula usata dal capo del Cremlino, Vladimir Putin, per raggiungere gli obiettivi dell’operazione speciale? A cinque giorni dall’ordine di mobilitazione, il livello della protesta cresce.

Quella più significativa sul piano politico, in attesa di capire se esista davvero un movimento contro la guerra, riguarda il delicato equilibrio etnico su cui il paese è fondato. Sardana Avksenteva, ex sindaco della città di Yakutsk, nell’estremo oriente russo, e parlamentare del partito Novye Lyudy (significa «persone nuove»), si è espressa con forza nelle ultime ore contro il sistema che le autorità stanno usando per reclutare i riservisti.

In teoria, ha spiegato il presidente della Commissione Difesa alla Duma, Andrei Kartapolov, ogni repubblica e ogni territorio della Federazione dovrebbero contribuire alla chiamata «in base alle proprie capacità».

NELLA PRATICA, però, le cose vanno in modo molto diverso. Nel territorio di Kursk, a maggioranza russa, il governatore, Roman Starovoit, ha fatto sapere che circa tremila dei suoi cittadini sono coinvolti nella mobilitazione. Significa lo 0,9 per cento degli uomini di età compresa fra i 29 e i 59 anni.

A Novosibirsk, altra regione in cui i russi sono la grande maggioranza, la quota scende allo 0,29 per cento. Ma già nella Repubblica di Calmucchia, sulle coste del Mar Caspio, torneranno sotto le armi un migliaio di riservisti, l’1,41 per cento del totale, la quasi totalità di etnia calmucca. E nella Repubblica Sakha, o Yakutia, il numero arriva a 4.750, l’1,66 per cento degli uomini.

«Guardo a queste cifre e non riesco a spiegarmi la sproporzione», dice Avksenteva, che denuncia «l’enorme sproporzione fra il centro della Russia e le periferie» e cita il caso di interi villaggi nei distretti artici in cui tutti gli uomini hanno ricevuto la convocazione delle autorità militari. «So perfettamente che cosa significa vivere a meno 55 gradi», le parole della parlamentare, «se gli uomini dovessero partire, le famiglie andrebbero incontro a enormi difficoltà».

LA YAKUTIA, assieme alla Buryatia, è stata sino a questo punto uno dei serbatoi di volontari per la guerra in Ucraina. Ma è anche una delle repubbliche in cui si sono registrati alcune fra le più importanti manifestazioni di dissenso, come quella dell’attivista Aikhal Ammosov, finito a processo per avere tentato di issare uno striscione che diceva «No alla guerra» nel giorno in cui il primo ministro, Mikhail Mishustin, era in visita nella capitale.

LE RIMOSTRANZE di Avksenteva spingono adesso la discussione fra i banchi della Duma. Anche il Cremlino, dopotutto, ha dovuto ammettere che la mobilitazione non procede secondo le attese. «La prima risposta è stata isterica», ha detto il portavoce del presidente Putin, Dmitri Peskov.

Proprio lui si trova al centro di un caso imbarazzante. In settimana due collaboratori dell’oppositore Aleksei Navalny si sono finti impiegati di un ufficio di reclutamento e hanno contattato al telefono il figlio, dicendogli che il suo nome era sull’elenco dei riservisti. «Forse non avete capito chi io sia – ha risposto lui – Risolverò la questione a livello più alto».

Sulla mobilitazione si è sentito in dovere di intervenire ieri persino il patriarca della Chiesa ortodossa, Kirill, che prima ha invitato i fedeli ad arruolarsi, e poi ha detto che la morte per la patria avrebbe garantito loro sicuro accesso al Regno dei cieli. Non è chiaro che influenza avrà questo appello sui cittadini. Già migliaia, forse addirittura settantamila persone, secondo alcune stime, avrebbero lasciato il paese questa settimana.

I BIGLIETTI AEREI per Istanbul, Tashkent, Erevan e Baku risultano esauriti, conferma il quotidiano Kommersant. In Finlandia gli ingressi via terra sono raddoppiati negli ultimi giorni, tanto che il governo ha deciso ieri di limitarli. Una situazione simile vivono la Georgia, la Mongolia e il Kazakhstan. In Georgia, in particolare, alcune migliaia di aiuto sono in colonna al checkpoint di Verkhnyy Lars: intere famiglie aspettano dodici ore per superare la frontiera e sfuggire almeno per adesso al reclutamento.