«Non molliamo, la nostra è una battaglia di civiltà»
Marwa Mamhoud (Italiani senza cittadinanza)
Marwa Mamhoud (Italiani senza cittadinanza)
«Ci siamo appellati al presidente Mattarella, l’istituzione più alta che possa esserci nella Repubblica, perché rimandi lo scioglimento delle Camere. Il rinvio potrebbe far sì che dopo l’Epifania lo ius soli possa finalmente essere ricalendarizzato e discusso dall’aula del Senato. E’ quello che chiediamo. E chiediamo che i senatori, soprattutto quelli che avevano preso un impegno con noi, si presentino al Senato e dicano «Sì» o «No» alla legge. Non presentarsi, come è successo nell’ultima seduta, significa tradire la nostra fiducia».
Quando arrivò in Italia dall’Egitto Marwa Mamhoud era poco più di una bambina. Oggi ha 33 anni, vive a Reggio Emilia dove lavora in una fondazione del Comune. Lei, che una volta maggiorenne è potuta diventare cittadina italiana, è tra le animatrici di Italiani senza cittadinanza, il movimento che riunisce i giovani nati in Italia da genitori immigrati o arrivati ancora piccoli nel nostro Paese. Più di 800 mila ragazzi e ragazze in età scolare, che diventano un milione se si considerano anche i maggiorenni. Italiani per tutti tranne per la legge che periodicamente li obbliga a rinnovare il permesso di soggiorno.
Giovani che adesso si sentono «traditi» da una classe politica che con loro aveva preso impegni precisi. «Tante promesse non mantenute» dice adesso Marwa, che non dispera però che nell’ultimo scorcio di legislatura le cose possano improvvisamente cambiare. «Perché questo avvenga però il presidente Mattarella non deve sciogliere le Camere prima della fine dell’anno. Vedremo cosa succederà».
Oggi il vostro appello è stato fatto proprio anche da alcuni esponenti del Pd.
Per la riforma della cittadinanza abbiamo sempre voluto mantenere un’equidistanza tra i partiti e questo ci ha permesso di dialogare con tutti, sia negli incontri istituzionali che nelle iniziative pubbliche perché pensiamo che non si tratta di una legge da rivendicare come un successo di destra o di sinistra, ma di una battaglia di civiltà. Quindi è un dovere delle istituzioni garantire che la legge venga discussa.
Il problema è che nell’ultima seduta del Senato 29 senatori del Pd, cioè tra quanti vi avevano promesso che si sarebbero impegnati per far approvare la riforma, non si sono fatti vedere.
E di questi noi ci ricorderemo al momento del voto, di loro e di tanti altri perché ovviamente molti di noi possono votare e ci ricorderemo di chi non ha mantenuto la promessa fatta. Tanti ministri, tanti parlamentari che abbiamo avuto modo di incontrare in questi mesi e alcuni dei quali hanno parlato di «promessa solenne» che però non hanno rispettato non presentandosi in aula. Queste persone forse pensano che non ci ricorderemo come si sono comportate? Forse credono di parlare solo con chi aspetta la cittadinanza e quindi non può votare, ma non è così.
Cosa farete se la legislatura si chiuderà senza che legge sia approvata?
Noi non demordiamo, continueremo a batterci anche nella prossima legislatura avviando canali di dialogo e di confronto con tutte le forze politiche possibili. Andiamo avanti perché, al di là della riforma della cittadinanza, crediamo fermamente che sia in atto un cambiamento sociale e culturale che prima o poi dovrà essere riconosciuto.
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