Le istituzioni in Turchia stanno diventando sempre più omotransfobiche. L’attuale governo, rafforzato dalle formazioni fondamentaliste nell’ultima tornata elettorale, sta conducendo una “crociata” contro le persone Lgbtq+. In questa prospettiva, l’intolleranza che si sta diffondendo nella società è inevitabile. Purtroppo, a pagare il prezzo più alto sono le persone Lgbtq+ rifugiate presenti in Turchia, vittime sia di omotransfobia che di razzismo.

IL VIDEO MESSAGGIO preparato dalla Fondazione per la Famiglia di Istanbul (Istanbul Aile Vakfi) per promuovere l’incontro pubblico «Stop alla propaganda LGBT» è stato trasmesso sui canali dell’emittente statale TRT. La decisione è stata presa dal consiglio superiore della radio e della televisione) pochi giorni prima di questo incontro omotransfobico.

Nonosrante il divieto della Prefettura di Izmir, un piccolo gruppo ha protestato contro la decisione delle autorità di fronte alla sede provinciale dell’ente. La protesta si è conclusa con l’intervento della polizia che ha portato al commissariato 10 manifestanti.
La fondazione citata promuove da anni politiche volte a «salvaguardare i bambini e lefamiglie», con l’obiettivo di «contrastare la diffusione della cultura LGBTQ+». Nei loro incontri pubblici non mancano i parlamentari del governo che rilasciano saltuariamente dichiarazioni omotransfobiche. Forse l’esempio più emblematico di questa ondata è ormai lo storico divieto del Pride di Istanbul. Ogni anno, il tentativo di organizzarlo si conclude con arresti e violenza da parte della polizia.

Sayati
I pregiudizi sono in costante aumento, dicono che godiamo di privilegi dallo stato in quanto rifugiati. Purtroppo anche alcune persone Lgtbq+ turche lo pensano
Secondo l’ILGA(International Lesbian and Gay Association), la Turchia occupa attualmente la 48esima posizione nella lista «Rainbow Europe Map and Index», della quale fanno parte 49 paesi.

NEL REPORT SI SOTTOLINEA una forte preoccupazione per l’aumento dei crimini d’odio contro le persone LGBTQ+ e le limitazioni alle attività delle loro associazioni. Secondo un sondaggio condotto dalla statunitense Pew, solo il 25% della popolazione turca accoglie con favore le persone LGBTQ+, mentre un altro sondaggio dell’università Bahçesehir rileva che l’88% dichiara di non volere un vicino gay.

La stessa intolleranza nei confronti del vicino “diverso” si osserva anche nel caso dei rifugiati. Secondo un sondaggio condotto dall’azienda turca Aksoy, il 59% delle persone intervistate preferisce non avere un vicino rifugiato, in particolare siriano. Nella stessa ricerca, il 68% delle persone intervistate si dice «preoccupato» nel caso in cui la propria figlia decidesse di sposare un rifugiato siriano. Secondo la ricerca annuale condotta dalla Fondazione Hrant Dink sul linguaggio dell’odio usato dai media, i rifugiati sono da parecchi anni in cima alla lista degli “obiettivi”. Anche se, secondo i dati ufficiali, solo l’1,32% dei reati è riconducibile a loro, è sempre più diffusa l’idea che siano i principali delinquenti in Turchia.

«LA TURCHIA È UN PAESE difficile per le persone LGBTQ+, ma lo è ancora di più per chi decide di rifugiarsi qui. Una semplice detenzione provvisoria, per il tentativo di partecipare al Pride, per un rifugiato LGBTQ+ potrebbe trasformarsi in un rimpatrio, mettendo questa persona a rischio di tornare in un paese dove l’omosessualità è considerata un reato e punita per legge. Purtroppo, ciò è già accaduto», racconta Sayati, un rifugiato gay in Turchia da dieci anni, che lavora da circa cinque nel mondo delle associazioni per i diritti delle persone LGBTQ+.

Sayati evidenzia tre principali difficoltà che le persone LGBTQ+ rifugiate devono affrontare in Turchia. «Prima di tutto, ci troviamo in uno stato precario perché siamo in attesa di essere accolti da terze parti come i paesi europei o il Canada. Questo percorso burocratico dura circa due anni e non sempre si conclude positivamente. Il secondo problema è dover fare i conti con il crescente razzismo, lo sfruttamento lavorativo e l’omotransfobia diffusa. Infine, dobbiamo a volte scappare anche dalle nostre famiglie a causa della loro omotransfobia, in attesa di lasciare la Turchia».

La precaria situazione economica penalizza ovviamente tutte le persone rifugiate, ma soprattutto quelle in transizione. «Le visite mediche sono lente, le terapie ormonali a volte inaccessibili per motivi burocratici o molto costose, e la necessità di lavorare mentre si è in transizione è difficile». In Turchia, ci sono poco più di tre milioni di rifugiati siriani e, secondo i dati del Ministero del Lavoro, solo 31 mila di essi hanno il permesso di lavorare. Secondo il report del 2019 preparato dall’Unione dei Medici di Turchia (TTB), lo sfruttamento lavorativo è diffuso quando si tratta dei lavoratori rifugiati. Il lavoro è spesso sottopagato, senza contratto e in luoghi non conformi alla legge.

«I PREGIUDIZI contro i rifugiati sono in costante aumento. Le persone pensano che siamo sostenuti dallo Stato o che abbiamo una serie di privilegi perché siamo rifugiati. Purtroppo, questi pregiudizi nei nostri confronti sono diffusi anche nella comunità LGBTQ+ turca. Una situazione che spinge molte persone a lavori sessuali forzati. Abbiamo paura di subire violenza come tutti, ma anche di essere vittime di razzismo e di essere rimpatriati», aggiunge Sayati, che resta in attesa di essere accolto da un terzo paese.

Dal 2014 al 2023, secondo i dati ufficiali della Presidenza per la Gestione dell’Immigrazione (Goç Idaresi Baskanligi), poco più di 23 mila siriani presenti in Turchia sono stati accolti in diversi paesi. Anche grazie a questi numeri, è evidente che le persone rifugiate in Turchia rimangono nel paese per un lungo periodo e devono fare i conti con il razzismo e l’omotransfobia rampante nelle istituzioni e nella società.