Dalle Matsu la sagoma del Fujian cinese si vede nitidamente. Insieme a Kinmen, queste isole sono la manifestazione più concreta della Repubblica di Cina, quella fondata da Chiang Kai-shek e ancora oggi nome ufficiale di Taiwan. Proprio l’arcipelago delle Matsu, già bersaglio dei bombardamenti di Mao Zedong, potrebbe diventare secondo diversi analisti il primo obiettivo militare di Pechino nel caso la probabile visita di Nancy Pelosi a Taipei dia il via a un’escalation. Nei giorni scorsi, l’esercito taiwanese ha sparato dei razzi per allontanare un drone armato in avvicinamento all’isola di Dongyin, la più vicina al territorio della Repubblica Popolare e sede di un sito missilistico. Lii Wen è il rappresentante locale del DPP, il partito della presidente taiwanese Tsai Ing-wen. Il manifesto lo ha intervistato per capire come sono vissute le tensioni di questi giorni da chi sta non in prima, ma in primissima linea.

Crede che la possibile visita di Nancy Pelosi possa causare più benefici o più rischi a Taiwan?
Taiwan accoglie ogni anno innumerevoli delegazioni congressuali straniere. La Cina esprime estrema insoddisfazione per tutte, a volte con un linguaggio molto aggressivo. Sarebbe poco pratico lasciare che sia Pechino a decidere chi può venire e chi no. La maggior parte dei taiwanesi è consapevole della minaccia a lungo termine, ma ritiene anche che non ci sia una minaccia immediata. Siamo sempre all’erta ma non ci facciamo prendere dal panico per quanto scrivono i media o dalle minacce verbali, che esistono da decenni.

Quale ritiene possa essere la reazione di Pechino?
Al momento, la Cina non si è impegnata in movimenti di truppe su larga scala ed è improbabile che si impegni in azioni troppo rischiose prima del XX Congresso del Partito comunista. Proprio come il mondo ha visto la Russia radunare truppe per quasi un anno prima di attaccare l’Ucraina, un accumulo di truppe cinesi lungo la costa sarebbe facilmente visibile attraverso le immagini satellitari, portando a discussioni globali sotto i riflettori dei media.

Non crede che un’invasione nel breve termine sia un’opzione?
La Cina non ha le truppe pronte per lanciare immediatamente un’invasione. Un’invasione anfibia di Taiwan è una campagna talmente vasta e complessa che richiederebbe diversi mesi di preparazione. Quindi no, la Cina non coglierà di sorpresa il mondo lanciando un attacco durante la visita di Pelosi. E non lancerà un attacco militare contro un leader politico straniero, nonostante abbia espresso insoddisfazione.
Diversi analisti ipotizzano che Pechino possa pianificare la conquista di Matsu, Kinmen o Penghu come “stress test”. Dalle Matsu percepite segnali in tal senso?
A Matsu notiamo l’aumento delle discussioni internazionali su questo, ma le nostre valutazioni si basano su osservazioni concrete come la presenza di movimenti di truppe, di movimenti di navi, su discussioni con amici e familiari che vivono in Cina. Nessuno dei segnali che indicano un rafforzamento militare su larga scala ha ancora avuto luogo.

Nel caso Pechino opti, anche in futuro, per l’azione militare, è credibile pensare a uno “stress test” sulle isole minori come Matsu o Kinmen?
Un blocco navale o un attacco parziale alle isole offshore non è molto probabile, perché è contrario all’obiettivo di prendere rapidamente Taiwan. Un blocco prolungato darebbe a Taiwan più tempo per prepararsi e aumenterebbe il rischio di un intervento straniero. Un blocco lascerebbe le navi cinesi vulnerabili ai missili antinave. Le isole, pur essendo di piccole dimensioni, sono pesantemente fortificate con tunnel e bunker e possono consumare preziose risorse anfibie per le forze cinesi. Attaccarle non fornirebbe alla Cina alcun vantaggio significativo per la presa di Taiwan. È più probabile che, se e quando la Cina si preparerà a un’invasione su larga scala, possa attaccare le isole offshore contemporaneamente all’isola principale.