Dj Orz: «Non ci spaventano, i raver sono pronti a ripartire»
Intervista Parla Orz della storica crew romana Kernel panik. Il nuovo decreto, il legame con le controculture, i rischi legati ai free party
Intervista Parla Orz della storica crew romana Kernel panik. Il nuovo decreto, il legame con le controculture, i rischi legati ai free party
Si susseguono in queste ore i commenti di giuristi e politici sul decreto anti-rave, ma sono poche invece le voci degli organizzatori, i ravers, sicuramente anche per il loro storico approccio refrattario rispetto ai media «ufficiali». È infatti lontano dai riflettori, dalle logiche dello spettacolo e della visibilità che i free party hanno sempre trovato la loro ragion d’essere, mettendo in pratica l’idea di una comunità informale, temporanea e autorganizzata.
In occasione di questa nuova ondata di criminalizzazione abbiamo raggiunto al telefono Orz, membro della nota crew romana Kernel panik. Con quasi venticinque anni di attività alle spalle, caratterizzati da una importante ricerca musicale e coreografia all’interno dei loro eventi – organizzati in tutta Europa e persino in Sud America – il gruppo è stato sempre legato ai centri sociali autogestiti, con il filo rosso della ricerca di spazi di libertà ed espressione.
Cosa cambierà con le nuove norme anti-rave?
Preferiamo rispondere con le azioni piuttosto che con le parole, noi non facciamo business né demagogia. Siamo stati perseguitati da sempre e così continuerà, possono fermare un sound [system] o dieci, ma saremo pronti a ripartire. Io personalmente non le definirei mai delle «feste» perché si rischia la propria libertà, questo è un fatto di cui siamo sempre stati consapevoli. Anche la confisca della strumentazione non è certo una novità. I giornali ripetono spesso le stesse cose, io lo trovo quasi buffo, tanto la realtà è che i figli di quella classe dirigente poi vengono ai nostri eventi. I rave non si fermeranno e queste nuove norme non ci spaventano, credo si tratti più di fumo negli occhi che altro.
È ancora forte il legame con le controculture da cui sono nati i free party? Questo decreto rischia di criminalizzare anche le attività degli spazi autogestiti come i centri sociali.
Quell’eredità di connessioni che ci è stata tramandata dai movimenti degli anni ’70 purtroppo è in parte andata perduta, spesso ci siamo messi l’uno contro l’altro e abbiamo fatto il gioco di chi ci vuole reprimere. Comunque, centri sociali come il Forte Prenestino di Roma non credo verranno toccati perché hanno avuto l’intelligenza di integrarsi nella realtà del quartiere, di proporre attività culturali di vario tipo che coinvolgono il mondo esterno, è un percorso lungimirante che sta raccogliendo i suoi frutti. Bisogna aprirsi e abbattere alcune barriere, non rimanere un mondo chiuso e omologato, perché il conflitto può esprimersi in molti modi.
Ti aspettavi di vedere i rave diventare un argomento così centrale nel dibattito pubblico italiano?
La generazione dei sound a cui appartengo viene mitizzata perché a quei tempi se ne parlava molto, facevamo paura. Tutto questo nel tempo si è sopito, ma ora dopo vent’anni c’è finalmente il passaggio dello scettro a una nuova generazione e anche un’attenzione che sta crescendo. I giovani vengono sottovalutati, io aspettavo da tempo che arrivassero persone così, fondamentali anche nell’organizzazione di eventi di cui si è parlato molto come Modena e Valentano. I raver stanno prendendo coscienza della loro forza e presenza, in questo modo non ci fermerà nessuno, ci saranno sempre delle soluzioni se ci si muove con intelligenza.
Insomma dal tuo punto di vista c’è speranza.
Io non sono cattolico, la speranza è un rifugio per chi ha paura. Non c’è karma né destino in questo mondo, solo causa e effetto.
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