Siamo nel pieno della Cop, il vertice sul clima giunto alla sua 27esima edizione, che assomiglia sempre di più a un appuntamento di routine e sempre di meno a una conferenza durante la quale si decidono le politiche globali in grado di ridurre le emissioni climalteranti. Le assenze, Cina e India pesano come macigni: sono tra i principali responsabili delle emissioni climalteranti. Insieme a Russia, Stati Uniti, Ue India e Giappone rappresentano il 49% della popolazione mondiale, il 62% del Pil globale e quasi il 70% delle emissioni globali di CO2 fossile.

Ma più di tutto manca una visione: non sembra esserci nessuno che voglia prendersi la briga di affrontare un tema scottante come la crisi climatica; e quando qualcuno lo fa, ecco i se e i ma: troppi e fuori tempo massimo, vista la situazione in cui viviamo. Accade anche in Italia, dove il ministro dello sviluppo economico ha fissato i paletti della transizione ecologica, da rendere a suo dire «compatibile con le pesanti ricadute sul tessuto produttivo». Continuare a produrre come si è sempre fatto negli ultimi decenni non è più una possibilità: sarebbe folle. La transizione invece, può essere fonte di una nuova economia. Ma non è che la politica sia sorda: la crisi climatica è un tema scomodo per tutti, anche per il singolo individuo che preferisce non pensarci e non sganciarsi da un modello di vita insostenibile.

Perché consumare è più facile che essere parsimoniosi, e pensare al proprio godimento immediato è più semplice che impegnarsi per il bene comune. È forse questo il più grave male: l’incapacità di comprendere che non ci sarà godimento domani, se continuiamo a pensare soltanto all’oggi. Il premio Nobel, Muhammad Yunus, parla di crisi della civilizzazione, esortando a vivere vite a tre zeri: zero emissioni, zero concentrazioni di ricchezza e zero povertà. Un giorno, forse, si arriverà a parlarne alla Cop: ma sarà tardi. Occorre allora una chiamata globale all’impegno: ognuno di noi, nella quotidianità, deve prendersi la responsabilità dei propri gesti e, attraverso il proprio esempio, essere di ispirazione per qualcun altro. Fino ad arrivare al tavolo della Cop.

L’Italia ha una grande tradizione di cooperazione internazionale: la Direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo e le tante realtà come il Ciheam di Bari, che sostengono la cooperazione nei paesi stranieri possono essere un tramite affinché il nostro Paese svolga la propria parte sia con progettualità che portino a condividere pratiche e tecnologie, sia con approcci avanzati di gestione di problematiche ambientali. Come Slow Food, il nostro invito all’impegno non può che guardare al cibo: concordiamo con le parole del Segretario Generale dell’Onu Guterres, quando ha dichiarato che «su ogni fronte climatico, l’unica soluzione è un’azione decisa e solidale». Tutti noi abbiamo un ruolo: nei nostri comportamenti quotidiani, nelle possibilità di protestare, nella capacità di fungere da stimolo ai partiti. Dobbiamo essere più protagonisti. Per la prima volta, c’è un padiglione sull’alimentazione e il suo legame con la crisi. Si chiama Food4Climate e, almeno nelle intenzioni, vuole portare «la trasformazione del sistema alimentare e le diete sostenibili al centro della Cop27». In attesa di capire quali sono le «pratiche agricole sostenibili e resilienti» di cui si parlerà, Slow Food rilancia il proprio sostegno per l’agroecologia, l’unico approccio in grado di coniugare produzione di cibo, tutela del suolo, difesa delle risorse, economia e diritti dei lavoratori.