Roberto Fico nei suoi ultimi giorni da presidente della Camera partecipa alla campagna elettorale da non candidato, avendo esaurito i due mandati previsti dalle regole del Movimento 5 Stelle. «Sto incontrando un paese in cui i divari sociali ancora esistono – racconta – Un paese che chiede alla politica di assumersi le proprie responsabilità. Ma vedo anche un paese che sa esprimere talenti e creatività straordinari, che vuole sentirsi una comunità e che ripone fiducia nelle istituzioni. Ho girato tanto dalla Campania al Piemonte, Sardegna, Toscana. Sta alla politica non deludere le aspettative e impegnarsi per costruire sempre orizzonti positivi».

La spaventa questa destra?
No, perché so che le nostre istituzioni e i nostri valori repubblicani sono saldi. Ma la considero pericolosa per il paese, perché non credo che le misure che intendono adottare siano ciò di cui l’Italia ha bisogno. Penso per esempio che sarebbe rischioso eliminare il reddito di cittadinanza e così far venir meno un supporto concreto per chi è in difficoltà.

È il ritorno del berlusconismo in altre forme?
Sicuramente ci sono eredità del berlusconismo ma negli ultimi anni si sono affermati anche fenomeni nuovi.

Ad esempio si teme per il diritto all’aborto.
C’è poca chiarezza su quello che ha in testa la destra sull’aborto, ci sono suoi esponenti che parlano di cambiare questa legge che è stata una garanzia storica per le donne e i loro diritti. Sento parlare di ‘diritto a non abortire’, che è una contraddizione in termini. Invece dobbiamo garantire pienamente alle donne il diritto all’aborto: le strutture ospedaliere pubbliche e laiche devono farlo, purtroppo oggi spesso non succede.

C’è il rischio che Meloni si saldi agli spagnoli di Vox e faccia asse con la destra europea.
Il modello di società che propone Orban per me è assolutamente negativo. È un modello che mette in discussione i diritti civili, innanzitutto. E poi un modello sovranista che non ragiona in termini di solidarietà all’interno dell’Europa. Ma l’Europa ha bisogno di condividere il proprio percorso: di un debito comune e di un approvvigionamento comune dell’energia. Condivisione per affrontare insieme, e quindi meglio, le sfide epocali che abbiamo di fronte. Nessun paese può far da solo in questo quadro. Anche quando parliamo di migrazioni serve solidarietà europea, non muri e fili spinati.

A proposito, lei all’epoca del Conte I manifestò nelle forme che poteva un certo travaglio per i decreti sicurezza.
Sì, in tempi non sospetti ho detto che ritenevo quei provvedimenti un errore. E ora dico che il M5S è pienamente alternativo alla destra, quello è un passato che non può più tornare. Ora siamo saldamente ancorati a valori progressisti, che poi sono quelli delle nostre origini: i beni comuni, i diritti sociali, l’ambiente.

Avete abbandonato la piattaforma Rousseau e alcune prospettive che mettevano in discussione la democrazia rappresentativa. Quella appena conclusa è la legislatura che ha segnato la costituzionalizzazione del M5S?
Non sono d’accordo. Siamo sempre stati all’interno di principi e valori della nostra Costituzione. Rispetto alla democrazia diretta, ho sempre pensato fosse uno strumento prezioso ma complementare alla democrazia rappresentativa, non alternativa. E continuo a credere nella centralità dei referendum, come strumento più alto della volontà popolare.

Col Pd è stato divorzio consensuale?
Dopo la caduta del governo Draghi hanno fatto scelte affrettate e confuse. Hanno rotto i ponti con il M5S e contemporaneamente inseguito un campo largo con tutti dentro. Noi siamo andati avanti per la nostra strada con coerenza, presentando ai cittadini un programma progressista, chiaro nei contenuti e nella visione di paese. Una scelta che credo stia trovando il favore delle persone.

Il M5S fin dalle origini si batte contro i cambi di casacca. Tuttavia, negli ultimi cinque anni avete visto dimezzati i gruppi parlamentari e indicato un ministro alla transizione ecologica rivelatosi incompatibile con le vostre istanze.
Credo sia innanzitutto un problema di cultura politica. Quello che si può fare è introdurre degli elementi di deterrenza nei regolamenti parlamentari, purtroppo alla Camera questa riforma non è passata perché non c’era il consenso necessario. È stata un’occasione persa, senza dubbio.

La sua storia personale affonda le radici anche nel movimento per l’acqua pubblica. A quel proposito dalle colonne del nostro giornale ribadì di voler lavorare per una legge a tutela del bene comune.
È una battaglia che continuiamo a portare avanti, è nel nostro programma. In questa legislatura ci abbiamo provato ma ci siamo scontrati prima con la Lega e poi con il centrosinistra. In entrambi i casi non si è trovato un accordo. Ma continueremo a combattere per fare questi passi in avanti necessari.

Eletto presidente della Camera si impegnò a restituire centralità al Parlamento. Com’è andata la legislatura da questo punto di vista?
Il Parlamento è stato centrale sempre. Il paese ha attraversato una delle fasi più difficili dal dopoguerra in poi con la pandemia. E le Camere sono state un faro per la comunità è hanno svolto un ruolo cruciale. Tutti provvedimenti chiave sono stati autorizzati dalle Camere. E le dico pure che siamo stati gli unici in Europa a rimanere sempre operativi. Di questo vado orgoglioso.

Per raggiungere Montecitorio, all’inizio della sua carica, prese simbolicamente un autobus di linea. Qual è la prima cosa che farà nel primo giorno da ex presidente?
(Sorride) Una bella camminata!